Giada insanguinata

Molti grossisti di pietre preziose, soprattutto occidentali, si stanno tenendo alla larga dal “Emporio delle gemme” apertosi il 29 Ottobre in Birmania e che chiuderà i battenti il 26 di Novembre. Questo non tanto perché provino indignazione per le violenze subite dai monaci buddisti, di cui tutti abbiamo visto e letto, quando piuttosto per il timore di aver problemi a smerciare la propria mercanzia. Da questa fiera biennale, dove vengono battute all’asta soprattutto giada e rubini, la giunta militare birmana trae una buona parte di quei denari che impiega poi per acquistare armi ed evitare la bancarotta della macchina statale. La penuria di finanziamenti che stanno traendo da questo bazar delle pietre preziose è il segno tangibile che le sanzioni approvate dagli Stati Uniti e dalla Comunità Europea stanno avendo un certo effetto. Tre giorni fa i rappresentanti di questa giunta assassina si sono presentati a Singapore, dove si sta tenendo una conferenza dei paesi Asean, per cercare di rompere l’accerchiamento in cui si sentonio stretti e oggi incontreranno Pietro Fassino, inviato da Bruxelles. Queste gemme, in ordine di importanza, si trovano al terzo posto come voce d’entrata nel loro bilancio, dopo il petrolio e il legname. È possibile, però, che i mercanti torneranno alla chetichella, con la speranza di  poter spuntare dei prezzi migliori, non appena le acque si saranno chetate. Intanto il contrabbando sta aumentando a dismisura, anche se già oggi il governo birmano riesce a controllare solo il cinquanta per cento delle loro esportazioni. Le radici di questo fenomeno sono da ricercarsi nella povertà e nella corruzione esistenti in questo Paese: i cavatori, che lavorano come degli schiavi, non riescono a guardagnare neppure un dollaro al giorno. In Occidente la giada è quasi sconosciuta, ma i rubini sono le pietre preziose più amate dalle donne americane e il novanta per cento di quelli che si trovano in vendita nelle gioiellerie provengono proprio dalla Birmania. Dunque non son solo i diamanti che alimentano guerre civili e omicidi, ma anche i rubini. Le pietre preziose, come il denaro, non mandano un cattivo odore. A mano a mano che le immagini della repressione di Yangoon si andranno attenuando nella nostra labile memoria collettiva, vedremo un numero crescente di persone che scenderanno a compromessi con la propria coscienza davanti allo sfavillio di un anello. Per quanto riguarda la giada offerta all’asta in questa fiera, essa viene presentata sotto forma di massi del peso di vari quintali. Sono cosparsi di terra e fango, tranne che per due o tre finestrelle lucidate sulla loro superficie, così da permettere agli esperti di osservare la loro cristallizazione interna e decidere quanto offrire. I compratori si portano dietro dei sensitivi che cercano di capire cosa nascondono e di indovinarne il valore. Basta un colpo di fortuna, con una vena di verde altamente cristallizzata all’interno e il profitto potrà essere di milioni di dollari. Una volta aggiudicati, questi pietroni vengono portate in centri di taglio di  Bangkok e di Hong Kong, dove vengono affettati e i maestri incisori decidono come utilizzarli.  I cinesi, sin dall’era neolitica, attribuiscono poteri mistici alla giada, anche se all’inizio si riferivano solo alla nefrite. La pensano capace di donare salute e potere e dopo averla raccolta sulle rive di certi fiumi posti sulla via della seta, veniva trasportata sino a dei villaggi dove veniva lavorata con rudimentali torni e trapani, costruiti con bambù e fili di canapa impeciata, e cosparsa di polvere abrasiva. Se le portavano addosso per tutta la vita e poi le facevano interrare nelle loro tombe, foggiate nelle forme più strane: uccelli; anelli che rappresentano il cielo e che verranno montati sul retro delle medaglie olimpiche assegnate a Pechino 2008; cicale; dei cilindri che rappresentano la terra. Dopo che per 6mila anni ne hanno fatto uso, a partire dal settecento si diffuse un tipo di giada più dura e più brillante della vecchia nefrite, che i geologi classificano come giadeite e che in estremo Oriente si rinviene solo in Birmania. Possiede un colore che varia dal bianco, sino al viola e al blù, ma può raggiungere un verde intenso simile a quello degli smeraldi: questa è la variante più ricercata. Una volta lavorata, la usavano perlopiù per oggetti da poggiare sul tavolo: la loro funzione era di liberare la mente dell’osservatore dalle preoccupazioni quitidiane. Questo tipo di giada la si cominciò a usare per gioielleria a partire dagli anni venti, grazie a quel crogiolo multirazziale e multiculturale che fu Shanghai, una città divisa fra varie nazioni. Quell’epoca era nota come Art Deco e le ricche signore occidentali che risiedevano in quella città, fra le quali anche Edda Ciano,  avendo notato quelle belle pietre, se le fecero montare su anelli e collane da gioiellieri famosi, come Cartier, Tiffany e Fabergè. Da quel momento la moda esplose anche fra i cinesi, che hanno preso a farne largo uso: oggi è difficile trovare una ragazza cinese, ricca o povera che sia,  che non ne porti almeno un pezzo al collo.

 

Angelo Paratico

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