Flash Gordon Contro Alien?

“Per quanto riguarda la rivoluzione militare, la competizione fra gli eserciti sta migrando nello spazio…questa è una inevitabilità storica, uno sviluppo che non può essere ignorato. Solo la forza può proteggere la pace” chi parla così non è il Signore delle Tenebre, nel film Guerre Stellari, ma il generale Xu Qilian, che sta a capo dell’aviazione cinese. Queste sue parole fanno cadere la maschera alla dirigenza comunista cinese, che aveva sempre negato di nutrire questo genere di ambizioni. Anche nel gennaio 2007, quando avevano usato un raggio laser per distruggere un loro vecchio satellite, parlarono di un semplice esperimento scientifico. Le sue parole, contenute in un’intervista stampata dal quotidiano delle forze armate cinesi, costituisce un articolato discorso strategico. Ha voluto aggiungere, per meglio chiarire il concetto, che d’ora innanzi la Cina assumerà una strategia attiva, non passiva, preparandosi a colpire obiettivi posti al di fuori dei propri confini nazionali. Ha aggiunto: “Gli interessi cinesi si stanno ampliando e il Paese è entrato nell’era spaziale. Il partito comunista cinese e il popolo sono stati investiti da un compito storico. Dopo un’ approfondita analisi abbiamo deciso di cambiare. Le forze aeree estenderanno la propria influenza dal cielo allo spazio, dalla difesa del territorio cinese, all’attacco. Miglioreremo la nostra capacità di colpire a lunga distanza, di combattere guerre elettroniche, via internet, con l’assistenza dei satelliti in orbita nello spazio…La Cina diventerà una potenza mondiale verso la metà del XXI secolo e la sua arma aerea deve essere in grado di neutralizzare varie forme di attentati alla propria sicurezza.” Gli esperti sottolineano l’importanza strategica delle sue parole: la Cina non risponderà più solo se attaccata – anche se in Corea, Tibet, Vietnam aggredì senza provocazione – ma si sta preparando a guerre preventive. L’aviazione vuol fare la sua parte, come la marina, che ha ricevuto ingenti fondi e che sta preparandosi a varare delle portaerei. Alla vigilia del viaggio a Pechino di Barack Obama, si segnala una crescente insoddisfazione per la leggerezza con la quale la sua amministrazione affronta il pericolo cinese. Il 21 ottobre scorso, a Seoul, parlando a dei giornalisti, il comandante in capo delle forze americane nel Pacifico, il contrammiraglio Robert F. Willard, si è lasciato scappare delle parole che son passate inosservate ai più, ma che hanno stupito i veri esperti presenti. Ha detto: “Obietterei che, più o meno, durante il decennio passato, ogni anno la Cina ha superato le nostre stime di intelligence circa le loro capacità belliche. In quel campo sono cresciuti a un tasso senza precedenti.”
In pratica, con molto tatto, ha accusato i servizi americani e, di riflesso, anche i politici, di aver sotto-stimato la crescita di questa tirannia nucleare. Questo genere di affermazioni sono rare a Washington, soprattutto quando c’è di mezzo un importante partner economico, ma lasceranno certamente il segno, dato che questo ufficiale è stimato per la sua competenza e per la sua aderenza ai fatti. Resta da chiederci cosa effettivamente intendeva dire. Le informazioni che gli sono arrivate sulla sua scrivania e su quella dei suoi predecessori erano sbagliate? Di quanto? Del 10 o del 30 per cento? Lui da chi lo ha saputo e cosa intendeva dire di preciso? Forse gli Americani stanno ripetendo gli errori commessi con l’Urss negli anni settanta e ottanta. Una volta dissolto l’impero del male, gli esperti scoprirono di aver sottostimato in maniera grossolana i loro armamenti: nell’ordine del duecento e del trecento per cento.
Ritornando alle affermazioni spaziali del generale Xu Qiliang, che citavamo in apertura, è chiaro a tutti dove, prima di tutto, intendono puntare l’occhio dei loro satelliti spaziali e inquadrare i bersagli da colpire con i loro missili. Taiwan. Per il momento le acque dello stretto sono calme e regna una relativa armonia fra i due Paesi, grazie all’abilità diplomatica del presidente Ma Ying-jeou, il quale deve aver capito che, in caso di pericolo, difficilmente l’attuale amministrazione americana li soccorrerà. Infatti, i segnali che si sono visti di recente al Congresso puntano in questa direzione. Una lotta sotterranea è in corso fra chi vorrebbe continuare a vendere armi a Taiwan e chi, rispondendo alle minacce cinesi, vorrebbe sospenderle. Un contratto da 6,5 miliardi di dollari per la vendita di caccia F16 è ad alto rischio. Nel luglio scorso, durante il suo ultimo viaggio a Pechino, il segretario di Stato Hillary Clinton era stata avvisata di cancellarlo, se vuol mantenere delle buone relazioni con la Cina. Nel frattempo i Cinesi continuano a puntare i propri missili a corto raggio contro a Taiwan. Per questo motivo il continuare a vendergli armi, mantenendo un equilibrio, paradossalmente diventa un fattore di pace e non di guerra. Si calcola che la Cina abbia da 1.050 a 1.150 missili puntati contro di loro e ne aggiunge 100 ogni anno che passa. Non solo, ma li sta rinnovando, aumentando la loro precisione, che è vitale per il loro impiego. L’accuratezza di missili dispiegati cinque anni fa era di circa 300 metri, mentre i nuovi modelli avrebbero una precisione di 5 metri. Questa precisione consentirà alle forze armate cinesi di colpire tutti i loro aeroporti e gli hangar, neutralizzandoli nel giro di un’ora e trasformando questa isola di democrazia in un’anatra dalle ali tarpate. Questa è una situazione esplosiva, che potrebbe sfuggire di mano in momenti di tensione. La Cina potrebbe agevolmente vincere militarmente, ma cadrebbe poi travolta da un’ondata di indignazione popolare provocata dal suo barbaro gesto.

Angelo Paratico

Obama, La Cina E Il Dalai Lama

La notizia e circolata domenica scorsa, come il fuoco nelle praterie. Tre funzionari del governo presieduto da Barack Obama, guidati da Valerie Jarrett, sono giunti a Dharamsala, in India, dove ha sede il governo in esilio del Dalai Lama. Lunedi avevano incontrato il primo ministro tibetano Samdhong Rimpoche e il portavoce del Dalai Lama, Lodi Gyari. Il leader spirituale tibetano era appena rientrato da un viaggio in Slovacchia, ma ieri ha potuto ricevere gli inviati americani. Nel terzetto c’era anche Maria Otero, sottosegretario del dipartimento di Stato, incaricata di fare da coordinatrice per gli affari tibetani. La Otero ha portato i saluti del presidente Obama al Dalai Lama, rassicurandolo sul fatto che tutta l’amministrazione statunitense intende continuare a proteggere la loro cultura, la loro religione e il loro stile di vita. Il Dalai Lama ha ringraziato calorosamente tutti i componenti di questa delegazione d’altissimo livello, la piu alta dal tempo della visita di Nancy Pelosi caduta nel marzo 2008 e ha apprezzando il loro interesse per una risoluzione pacifica del problema tibetano, attraverso il dialogo con la Cina. Il premio Nobel tibetano ha in programma di visitare gli Stati Uniti il mese venturo e spera di potervi incontrare il nuovo presidente americano. La Cina ha gia fatto sapere che e contraria a tale incontro e che questo non s’ha da fare, altrimenti i rapporti bilaterali fra i due Paesi verranno irrimediabilmente compromessi. Il solito disco rotto, insomma. Fra l’altro, anche il presidente cinese Hu Jintao e atteso negli Stati Uniti, a Pittsburgh dal 24 al 25 settembre, per una riunione dei Paesi del G20. Per evitare una sua cancellazione, in segno di protesta, siamo certi che l’annuncio del possibile incontro fra Obama e il Dalai Lama verra diffuso solo dopo Pittsburgh. Speriamo solo che il neo eletto presidente americano non si fara intimidire dalle minacce cinesi. Tutto sommato un po’ di tensione con la Cina gli potra solo essere di giovamento: potra servire a deflettere tutte le critiche che gli stanno piovendo addosso a causa dei suoi lodevoli sforzi nel voler risolvere una delle grandi piaghe del sistema America: la mancanza di un servizio medico paragonabile alla nostra mutua. Un segnale che il presidente Obama e ormai disposto a guardare i Cinesi negli occhi e dato dal fatto che, venerdi scorso, egli ha approvato l’imposizione di un 35 per cento di tasse sulla importazione di pneumatici prodotti in Cina. La Casa Bianca ha parlato di un meccanismo automatico, imposto dalla necessita di essere equi nei confronti di tutti. Ma la riposta cinese non si e fatta attendere. Come sempre sogliono fare in questi casi, hanno tirato un pugno sotto alla cintura, dichiarando di aver dato inizio a una inchiesta anti dumping sulla importazione di carne di pollo e di pezzi di ricambio per auto di provenienza statunitense. Non si capisce perché non avevano dato inizio a tale inchiesta nei mesi precedenti, se davvero pensavano che ne esistono gli estremi. Il ministero per il commercio cinese ha fatto sapere che ritiene questa imposizione fiscale sugli pneumatici come un atto di puro protezionismo e che lanceranno altre indagini sul Made in USA, se l’attuale amministrazione americana non si decidera a cambiare rotta. Si lamentano, ma devono fare attenzione a come si muovono, perché lo stretto controllo che mantengono sulla propria moneta e di per sé stesso contrario alle leggi del Wto e costituisce un immenso atto di dumping. Obama, con altri senatori, aveva a suo tempo scritto una lettera al presidente Bush per protestare contro alla Cina, che manipola la propria divisa al fine di promuovere le proprie esportazioni. Ora si trova seduto al posto di Bush e non puo piu limitarsi a scrivere lettere. L’economia cinese, a dispetto della sua apparente buona salute, si trova su di un asse inclinato coperto di olio. Resta troppo basata su capitali provenienti dall’estero, che vengono impiegati per finanziare la crescita in settori a basso contenuto tecnologico e a basso profitto. La crescita spettacolare del Pil che hanno segnato in questi anni l’hanno ottenuta tassando i propri cittadini. Questo genere di tasse si chiamano bassi salari. Una sorta di tassazione trattenuta dalla Stato e che neppure appare in busta paga. Lavori che in Europa verrebbero pagati mille euro mensili, in Cina vengono pagati cento euro mensili. Il 90 per cento di tasse, dunque. Gli economisti cinesi conoscono bene i rischi che stanno correndo e, per questo motivo, a partire dall’inizio della crisi economica mondiale, iniziata il 14 settembre 2008, hanno insistito a voler aumentare i consumi interni. Una speranza che si sta rivelando fallace, perché le cifre diffuse dall’ufficio delle statistiche di Pechino mostrano che questo non sta avvenendo: anzi, si e registrato un nuovo calo del 17% sulle importazioni e del 23.4 per cento sulle esportazioni. La Cina non puo permettersi di alzare troppo la voce con Stati Uniti, né di alzare troppo la tensione, per evitare di segare il ramo su cui siedono, ma la progressione delle minacce cinesi e cosa nota e prevedibile: la loro stampa comincera a pubblicare storie in cui viene esposta la doppiezza e la disonesta americana, rapportata all’onesta cinese. Il passo successivo potra essere l’arresto di qualche cittadino americano, con l’accusa di spionaggio e la cancellazione di vari incontri ad alto livello e contratti con societa americane. Un po’ come hanno fatto con gli australiani della Rio Tinto: furia controllata, per punire chi si comporta male nei loro confronti. Potranno anche arrivare a minacciare di vendere una parte dei miliardi di dollari di buoni del tesoro americano che possiedono. Questa minaccia, infatti, ha gia fatto capolino sulla stampa cinese durante il fine settimana, ma questo dimostra solo l’ignoranza a livello fiscale di certi giornalisti. Non capiscono che, per ogni cosa che si vuol vendere, bisogna che esista qualcuno disposto a comprare. Inoltre, i loro acquisti di buoni del tesoro americano son solo il segno che gli Americani stanno acquistando merci cinesi, mentre loro, i Cinesi, non stanno comprando abbastanza merci e servizi di provenienza americana.

Angelo Paratico

La Cina Compie 60 Anni

La repubblica popolare cinese venne fondata il 1 ottobre 1949. Dunque, la cosiddetta liberazione cinese sta per compiere sessant’anni. Stanno preparando grandi festeggiamenti, parate militari, marce e canzoni. A Pechino hanno proibito ai negozi di vendere coltelli e chiuso il Tibet ai turisti. Lunedi un autobus vuoto s’era incendiato nella capitale cinese, per cause naturali, ma questo e bastato per provocare un caos fra le forze dell’ordine. La somma di tutte le loro paure e riassunta in un libro, scritto da Lung Ying-tai, una docente di giornalismo presso l’universita di Hong Kong. E’ uscito a Taiwan due settimana fa e sta avendo un successo strepitoso: ha gia venduto centomila copie ed e possibile che arrivi a venderne piu di un milione nel giro di qualche mese. S’intitola: Grande fiume, Grande mare. Storie mai raccontate del 1949. L’idea di scriverlo venne all’autrice nel 1989 mentre stava a Berlino, dove poté assistere alla caduta del Muro. Venne colpita dall’idea che i suoi concittadini passati attraverso il trauma del 1949 erano gia vecchi e non sarebbero vissuti ancora a lungo. Per questo motivo avverti l’urgenza di raccogliere le loro parole. Tornata a Taiwan comincio a registrare testimonianze orali, a raccogliere vecchi giornali, libri dimenticati e poi catalogare tutto con cura. Solo l’anno scorso si mise all’opera: si rinchiuse in casa per 400 giorni e poi smise di leggere i quotidiani e di ascoltare i telegiornali, per poter entrare in una macchina del tempo mentale e rivivere quei drammi, udire le grida di tutte quelle vittime innocenti, i loro pianti e i loro lamenti. In questa opera ha raccolto tante storie di persone minute e di persone famose, che furono inghiottite in quel maelström. Fra i famosi vi troviamo l’attuale presidente di Taiwan, Ma Ying-jeou e lo studioso di fisica Paul Chu. C’e anche la storia della sua famiglia, che e commovente. Sua madre, fuggendo con il marito a Taiwan, lascio il suo primogenito alla suocera in una stazione ferroviaria, perché il loro treno era pieno all’inverosimile di rifugiati. L’autrice del libro, nata a Taiwan nel 1952, rivide questo suo fratello solo nel 1985, a Canton. Questa sua opera e stata presentata presso il suo ateneo qualche giorno fa. Ascoltiamo cio che dice, dalla sua viva voce: “Nella tradizione cinese 60 anni e una data importante. Pechino dovrebbe marcare quel giorno, ma non festeggiarlo. Si dice che dietro a ogni valoroso generale stiano diecimila cadaveri e una delle parti non dovrebbe infierire sull’altra, caratterizzandola come perdente. Circa un milione e mezzo di persone fuggirono a Taiwan e molti si lasciarono dietro figli, genitori, mariti. Mio padre era un ufficiale nell’esercito di Chang Kaishek e non vide piu sua madre, che era corsa alla stazione ferroviaria per dare un ultimo bacio al figlio. Fece in tempo a dargli un paio di pezze da piedi, che aveva fatto con le sue mani, all’uncinetto. Mi e capitato spesso di vedere mio padre piangere, quando si toglieva le scarpe. I miei genitori persero tutto: casa, terreni, parenti, amici e mio padre s’adatto a fare il poliziotto in un villaggio.”
Anche sua madre non rivide piu i genitori e, inoltre, il suo paese nativo, ricco in monumenti e con una storia di mille anni, venne sommerso da una diga nel 1958 e i suoi trecentomila abitanti vennero spostati in un’altra zona, senza concedere loro nessuna compensazione.
Lung dice che anche a Taiwan esiste una notevole ignoranza su quegli avvenimenti, perché i perdenti non amano rivangare il proprio passato e ammettere i propri errori, soprattutto se e un passato orrendo, nella sua magnitudine. Aggiunge: “Per esempio nessuno ha mai sentito nominare l’assedio di Changchun, la capitale della provincia del Jilin. Dal marzo fino all’ottobre del 1948 Lin Biao il comandante della PLA taglio tutti i rifornimenti di cibo alla popolazione chiusa in quella citta. Dentro c’erano centomila soldati del Kmt e un milione di civili. Si registrarono numerosi casi di cannibalismo e alla fine i morti furono da un minimo di centomila a un massimo di seicentocinquantamila. Sono stata in quella citta recentemente, ma nessuno ne sa nulla. Tutti conoscono il massacro di Nanchino perpetrato dai Giapponesi, ma nessuno parla di questo massacro e di tanti altri. Molte furono le ingiustizie commesse durante questi sessant’anni, ma nessuno si e mai scusato. Tanti debiti non son stati ripagati. Tanti atti di generosita non son stati riconosciuti e tante ferite non si sono rimarginate.”
L’autrice conclude dicendo che lo scrivere questo libro e stato un po’ come aprire la scatola nera d’un aereo caduto, ma si affretta ad aggiunge: “In Cina c’e bisogno di scrivere centomila libri simili. Vi sono troppe scatole nere in giro. Se la pace ci sta davvero a cuore, allora dobbiamo capire il dolore che le nostre celebrazioni provocano alla parte avversa. Se il popolo sulle due rive dello stretto di Taiwan non si conoscono, allora non c’e nessuna base di fratellanza. Non puo bastare la pace solo fra i leader politici.”
Bella una frase che mette nella introduzione: “Guerra?  C’e un vincitore? Io sono fiera di far parte della prossima generazione dei perdenti.” Da questa vicenda, anche noi Italiani, figli del 25 Aprile, avremmo molto da imparare.

La repubblica popolare cinese venne fondata il 1 ottobre 1949. Dunque, la cosiddetta liberazione cinese sta per compiere sessant’anni. Stanno preparando grandi festeggiamenti, parate militari, marce e canzoni. A Pechino hanno proibito ai negozi di vendere coltelli e chiuso il Tibet ai turisti. Lunedi un autobus vuoto s’era incendiato nella capitale cinese, per cause naturali, ma questo e bastato per provocare un caos fra le forze dell’ordine. La somma di tutte le loro paure e riassunta in un libro, scritto da Lung Ying-tai, una docente di giornalismo presso l’universita di Hong Kong. E’ uscito a Taiwan due settimana fa e sta avendo un successo strepitoso: ha gia venduto centomila copie ed e possibile che arrivi a venderne piu di un milione nel giro di qualche mese. S’intitola: Grande fiume, Grande mare. Storie mai raccontate del 1949. L’idea di scriverlo venne all’autrice nel 1989 mentre stava a Berlino, dove poté assistere alla caduta del Muro. Venne colpita dall’idea che i suoi concittadini passati attraverso il trauma del 1949 erano gia vecchi e non sarebbero vissuti ancora a lungo. Per questo motivo avverti l’urgenza di raccogliere le loro parole. Tornata a Taiwan comincio a registrare testimonianze orali, a raccogliere vecchi giornali, libri dimenticati e poi catalogare tutto con cura. Solo l’anno scorso si mise all’opera: si rinchiuse in casa per 400 giorni e poi smise di leggere i quotidiani e di ascoltare i telegiornali, per poter entrare in una macchina del tempo mentale e rivivere quei drammi, udire le grida di tutte quelle vittime innocenti, i loro pianti e i loro lamenti. In questa opera ha raccolto tante storie di persone minute e di persone famose, che furono inghiottite in quel maelström. Fra i famosi vi troviamo l’attuale presidente di Taiwan, Ma Ying-jeou e lo studioso di fisica Paul Chu. C’e anche la storia della sua famiglia, che e commovente. Sua madre, fuggendo con il marito a Taiwan, lascio il suo primogenito alla suocera in una stazione ferroviaria, perché il loro treno era pieno all’inverosimile di rifugiati. L’autrice del libro, nata a Taiwan nel 1952, rivide questo suo fratello solo nel 1985, a Canton. Questa sua opera e stata presentata presso il suo ateneo qualche giorno fa. Ascoltiamo cio che dice, dalla sua viva voce: “Nella tradizione cinese 60 anni e una data importante. Pechino dovrebbe marcare quel giorno, ma non festeggiarlo. Si dice che dietro a ogni valoroso generale stiano diecimila cadaveri e una delle parti non dovrebbe infierire sull’altra, caratterizzandola come perdente. Circa un milione e mezzo di persone fuggirono a Taiwan e molti si lasciarono dietro figli, genitori, mariti. Mio padre era un ufficiale nell’esercito di Chang Kaishek e non vide piu sua madre, che era corsa alla stazione ferroviaria per dare un ultimo bacio al figlio. Fece in tempo a dargli un paio di pezze da piedi, che aveva fatto con le sue mani, all’uncinetto. Mi e capitato spesso di vedere mio padre piangere, quando si toglieva le scarpe. I miei genitori persero tutto: casa, terreni, parenti, amici e mio padre s’adatto a fare il poliziotto in un villaggio.”
Anche sua madre non rivide piu i genitori e, inoltre, il suo paese nativo, ricco in monumenti e con una storia di mille anni, venne sommerso da una diga nel 1958 e i suoi trecentomila abitanti vennero spostati in un’altra zona, senza concedere loro nessuna compensazione.
Lung dice che anche a Taiwan esiste una notevole ignoranza su quegli avvenimenti, perché i perdenti non amano rivangare il proprio passato e ammettere i propri errori, soprattutto se e un passato orrendo, nella sua magnitudine. Aggiunge: “Per esempio nessuno ha mai sentito nominare l’assedio di Changchun, la capitale della provincia del Jilin. Dal marzo fino all’ottobre del 1948 Lin Biao il comandante della PLA taglio tutti i rifornimenti di cibo alla popolazione chiusa in quella citta. Dentro c’erano centomila soldati del Kmt e un milione di civili. Si registrarono numerosi casi di cannibalismo e alla fine i morti furono da un minimo di centomila a un massimo di seicentocinquantamila. Sono stata in quella citta recentemente, ma nessuno ne sa nulla. Tutti conoscono il massacro di Nanchino perpetrato dai Giapponesi, ma nessuno parla di questo massacro e di tanti altri. Molte furono le ingiustizie commesse durante questi sessant’anni, ma nessuno si e mai scusato. Tanti debiti non son stati ripagati. Tanti atti di generosita non son stati riconosciuti e tante ferite non si sono rimarginate.”
L’autrice conclude dicendo che lo scrivere questo libro e stato un po’ come aprire la scatola nera d’un aereo caduto, ma si affretta ad aggiunge: “In Cina c’e bisogno di scrivere centomila libri simili. Vi sono troppe scatole nere in giro. Se la pace ci sta davvero a cuore, allora dobbiamo capire il dolore che le nostre celebrazioni provocano alla parte avversa. Se il popolo sulle due rive dello stretto di Taiwan non si conoscono, allora non c’e nessuna base di fratellanza. Non puo bastare la pace solo fra i leader politici.”
Bella una frase che mette nella introduzione: “Guerra? C’e un vincitore? Io sono fiera di far parte della prossima generazione dei perdenti.” Da questa vicenda, anche noi Italiani, figli del 25 Aprile, avremmo molto da imparare.

Angelo Paratico

Mogul

Giada insanguinata

Molti grossisti di pietre preziose, soprattutto occidentali, si stanno tenendo alla larga dal “Emporio delle gemme” apertosi il 29 Ottobre in Birmania e che chiuderà i battenti il 26 di Novembre. Questo non tanto perché provino indignazione per le violenze subite dai monaci buddisti, di cui tutti abbiamo visto e letto, quando piuttosto per il timore di aver problemi a smerciare la propria mercanzia. Da questa fiera biennale, dove vengono battute all’asta soprattutto giada e rubini, la giunta militare birmana trae una buona parte di quei denari che impiega poi per acquistare armi ed evitare la bancarotta della macchina statale. La penuria di finanziamenti che stanno traendo da questo bazar delle pietre preziose è il segno tangibile che le sanzioni approvate dagli Stati Uniti e dalla Comunità Europea stanno avendo un certo effetto. Tre giorni fa i rappresentanti di questa giunta assassina si sono presentati a Singapore, dove si sta tenendo una conferenza dei paesi Asean, per cercare di rompere l’accerchiamento in cui si sentonio stretti e oggi incontreranno Pietro Fassino, inviato da Bruxelles. Queste gemme, in ordine di importanza, si trovano al terzo posto come voce d’entrata nel loro bilancio, dopo il petrolio e il legname. È possibile, però, che i mercanti torneranno alla chetichella, con la speranza di  poter spuntare dei prezzi migliori, non appena le acque si saranno chetate. Intanto il contrabbando sta aumentando a dismisura, anche se già oggi il governo birmano riesce a controllare solo il cinquanta per cento delle loro esportazioni. Le radici di questo fenomeno sono da ricercarsi nella povertà e nella corruzione esistenti in questo Paese: i cavatori, che lavorano come degli schiavi, non riescono a guardagnare neppure un dollaro al giorno. In Occidente la giada è quasi sconosciuta, ma i rubini sono le pietre preziose più amate dalle donne americane e il novanta per cento di quelli che si trovano in vendita nelle gioiellerie provengono proprio dalla Birmania. Dunque non son solo i diamanti che alimentano guerre civili e omicidi, ma anche i rubini. Le pietre preziose, come il denaro, non mandano un cattivo odore. A mano a mano che le immagini della repressione di Yangoon si andranno attenuando nella nostra labile memoria collettiva, vedremo un numero crescente di persone che scenderanno a compromessi con la propria coscienza davanti allo sfavillio di un anello. Per quanto riguarda la giada offerta all’asta in questa fiera, essa viene presentata sotto forma di massi del peso di vari quintali. Sono cosparsi di terra e fango, tranne che per due o tre finestrelle lucidate sulla loro superficie, così da permettere agli esperti di osservare la loro cristallizazione interna e decidere quanto offrire. I compratori si portano dietro dei sensitivi che cercano di capire cosa nascondono e di indovinarne il valore. Basta un colpo di fortuna, con una vena di verde altamente cristallizzata all’interno e il profitto potrà essere di milioni di dollari. Una volta aggiudicati, questi pietroni vengono portate in centri di taglio di  Bangkok e di Hong Kong, dove vengono affettati e i maestri incisori decidono come utilizzarli.  I cinesi, sin dall’era neolitica, attribuiscono poteri mistici alla giada, anche se all’inizio si riferivano solo alla nefrite. La pensano capace di donare salute e potere e dopo averla raccolta sulle rive di certi fiumi posti sulla via della seta, veniva trasportata sino a dei villaggi dove veniva lavorata con rudimentali torni e trapani, costruiti con bambù e fili di canapa impeciata, e cosparsa di polvere abrasiva. Se le portavano addosso per tutta la vita e poi le facevano interrare nelle loro tombe, foggiate nelle forme più strane: uccelli; anelli che rappresentano il cielo e che verranno montati sul retro delle medaglie olimpiche assegnate a Pechino 2008; cicale; dei cilindri che rappresentano la terra. Dopo che per 6mila anni ne hanno fatto uso, a partire dal settecento si diffuse un tipo di giada più dura e più brillante della vecchia nefrite, che i geologi classificano come giadeite e che in estremo Oriente si rinviene solo in Birmania. Possiede un colore che varia dal bianco, sino al viola e al blù, ma può raggiungere un verde intenso simile a quello degli smeraldi: questa è la variante più ricercata. Una volta lavorata, la usavano perlopiù per oggetti da poggiare sul tavolo: la loro funzione era di liberare la mente dell’osservatore dalle preoccupazioni quitidiane. Questo tipo di giada la si cominciò a usare per gioielleria a partire dagli anni venti, grazie a quel crogiolo multirazziale e multiculturale che fu Shanghai, una città divisa fra varie nazioni. Quell’epoca era nota come Art Deco e le ricche signore occidentali che risiedevano in quella città, fra le quali anche Edda Ciano,  avendo notato quelle belle pietre, se le fecero montare su anelli e collane da gioiellieri famosi, come Cartier, Tiffany e Fabergè. Da quel momento la moda esplose anche fra i cinesi, che hanno preso a farne largo uso: oggi è difficile trovare una ragazza cinese, ricca o povera che sia,  che non ne porti almeno un pezzo al collo.

 

Angelo Paratico