Leonardo Da Vinci, Agnolo Firenzuola e il sorriso della Gioconda

Nel mio libro su Leonardo Da Vinci – pubblicato da Ginko Editore nel 2017 – accenno a una lieve curvatura del labbro sinistro della Gioconda – già notata nel 1896 da Robert de Sizeranne – e che questa è essenzialmente dovuta a una disproporzione geometrica dovuta alle ombre attorno alle labbra e alla loro percezione da parte della nostra retina. Quando guardiamo il ritratto dritto negli occhi, il suo sorriso sparisce ma quando ci si focalizza altrove, entra nella visione periferica della retina e il sorriso appare, sfumato e ampio: dunque quel sorriso appare più evidente nella visione periferica che non in quella centrale.

Questo è un sottile dettaglio che conferisce alla Gioconda un che di enigmatico e di misterioso. Nel mio libro accenno che questo è in qualche modo descritto da Agnolo Firenzuola in un suo celebre trattato sulla bellezza delle donne del 1541.

Dato che Leonardo dipinse quel ritratto prima che il suo libro fosse scritto, come possiamo spiegare questa curiosa coincidenza?

L’unica spiegazione possibile, a mio giudizio, è che il giovane Firenzuola vide la Gioconda prima che venisse portata in Francia da Leonardo. Forse nel 1515 o nel 1516 quando Leonardo Da Vinci arrivò in Lombardia da Roma, fermandosi a Bologna e Parma, incontrando Re Francesco I di Francia che gli chiese di entrare al suo servizio ad Amboise.

 

 

Agnolo Firenzuola – Dialogo delle bellezze delle donne intitolato Celso

DEL DIALOGO DEL FIRENZUOLA FIORENTINO, DELLA BELLEZA DELLE DONNE, INTITOLATO CELSO. DISCORSO PRIMO.

CELSO.

Eccoci alla bocca, fontana di tutte le amorose dolceze, la quale disidera più tosto pendere nel picciolo che nel grande; né deve esser aguza, né piatta; e nello aprirla, massime quando si apre senza riso o senza parola, non averia a mostrar più che cinque denti, insino in sei, di quei di sopra. Non sien le labbra molto sottili né anche soverchio grosse, ma in guisa che il vermiglio loro apparisca sopra lo incarnato che le circonda; e voglion nel serrar della bocca congiungersi pari, che quel di sopra non avanzi quel di sotto, né quel di sotto quel di sopra; e voglion fare verso il lor fine una certa diminuzione diminuita in angulo ottuso: come è questo; ma non come lo acuto o come il mento. Egli è ben vero che, quando il labbro di sotto, e massime quando la bocca è aperta, gonfia un poco nel mezo più che quel di sopra, con un certo segno che mostri quasi di dividerlo in due parti, che quel poco di gonfiamento dà gran grazia a tutta la bocca. Tra il labbro di sopra e quel che voi chiamate il mocol del naso, vuole apparire eziandio una certa dimensione, che paia un picciol solco e poco a dentro, seminato di rose incarnate. Il serrar la bocca qualche volta, con un dolce atto e con una certa grazia, dalla banda dritta e aprirlo dalla manca, quasi ascostamente soghignando, o mordersi talora il labbro di sotto non affettatamente, ma quasi per inavertenza, che non paressero attucci o lezi, rare volte, rimessamente, dolcemente, con un poco di modesta lascivia, con un certo muover d’occhi, che or riguardino fissamente e allora allora rimirino in terra, è una cosa graziosa, un atto che apre anzi spalanca il paradiso delle delizie e allaga d’una incomprensibile dolceza il core di chi lo mira disiosamente. Ma tutta questo sarebbe poco, se la belleza dei Denti non concorresse coll’essere piccioli, ma non minuti, quadri, uguali, con bello ordine separati, candidi e allo avorio simili sopra tutto, e dalle gingive, che più tosto paiano orli di raso chermisino che di velluto rosso, orlati, legati e rincalzati;

 

Agnolo Firenzuola nacque a Firenze il 28 sett. 1493, primo dei cinque figli del notaio Bastiano Giovannini da Firenzuola e di Lucrezia Braccesi, figlia dell’umanista Alessandro, che Bastiano servì come segretario personale.
Alessandro Braccesi fu intimo di Giuliano e Lorenzo de’ Medici e conobbe anche la la bella Ginevra de’ Benci, il cui fratello era amico di Leonardo.

Alessandro Braccesi iniziò la professione di notaio nel 1467 e fu impiegato nella cancelleria della Repubblica e della Signoria fiorentina, per la quale svolse varie attività diplomatiche. Nel 1470-1471 fu a Napoli e poi a Roma con gli ambasciatori Jacopo Guicciardini e Pierfrancesco de’ Medici.
Verso il 1473 compose una serie di poesie in volgare, dedicate al signore di Montefeltro. Si trattava di un Canzoniere d’ispirazione petrarchesca. In seguito tradusse anche le Storie di Appiano in volgare.Nel 1479 fu secondo cancelliere della Signoria e nel 1480 cancelliere dei Dieci di Balia e poi notaio e scriba degli Otto di Pratica.
Del 1483 al 1487 fu uno dei sei segretari della Repubblica, mentre nel 1488 diresse insieme con Francesco Gaddi la cancelleria degli Otto di Pratica.
Dal 1491 al 1494 fu ambasciatore a Siena, svolgendo una missione delicata in una terra tradizionalmente nemica di Firenze. Alla caduta dei Medici fu subito richiamato a Firenze e rimosso dall’incarico di segretario, che gli fu restituito già alla fine dell’anno e riprese così le sue missioni diplomatiche. La più importante fu svolta a Roma nel 1497.
Durante la sua missione, il papa scomunicò il Savonarola mentre il Braccesi, un ammiratore del Savonarola, lo informava segretamente dello stato delle trattative, oltre ad adoperarsi cautamente presso qualche cardinale sulla possibilità della convocazione di un concilio che affrontasse il problema della deposizione del Borgia e della riforma della Chiesa, come auspicato da fra’ Girolamo. La svolta anti-savonaroliana a Firenze nel 1498 e che portò in maggio alla condanna del frate, provocò anche la caduta in disgrazia del Braccesi. Dopo qualche anno d’isolamento, dovette ottenere la fiducia dei nuovi signori di Firenze: alla fine del 1502 fu infatti inviato in missione a Roma, ma vi si ammalò e morì il 7 luglio 1503.
La sua tomba si trova nella basilica di Santa Prassede, dove è ricordato da un epitaffio dettato da Agnolo Firenzuola.

Agnolo Fiorenzuola fu battezzato con i nomi di Michelangelo e Gerolamo, trascorrendo l’infanzia a Firenze. Sedicenne, intraprese lo studio del diritto a Siena; quindi fu a Perugia, dove completò gli studi nel 1515-16.
Venticinquenne, nel 1518 approdò nella Roma di Leone X con l’incarico di procuratore dell’Ordine presso la Curia. Apparentemente per qualche tempo fu al servizio di Paolo Giordano Orsini e frequentò l’accademia che si riuniva nel palazzo del cardinale Pietro Accolti.
S’innamorò della moglie di un avido notaio, che lui chiama Costanza, di origini fiorentine. Compose dei dialoghi a lei dedicati anche se questa morì prematuramente, la sua opera fu sottoposta al Tolomei, che forse espresse riserve sulla scelta di affidare temi filosofici a interlocutrici femminili, se il Fiorenzuola gli rispose nel 1525 con una Epistola in difesa delle donne. Nei mesi successivi alla presentazione dei Ragionamenti si manifestò la grave infermità di cui parla, nel capitolo In lode del legno santo e nella lettera a Pietro Aretino del 5 ott. 1541, molto probabilmente si trattava di sifilide.
Chiese e ottenere l’8 maggio 1526 la dispensa dai voti monastici, pur rimanendo in seno alla Chiesa come chierico secolare, per rinchiudersi in un doloroso e impenetrabile isolamento.
Nel 1538 fu a Prato, ristabilito nella salute, di nuovo nell’Ordine vallombrosano e in buone condizioni economiche grazie al ricco beneficio della badia di S. Salvatore, a Vaiano nel Pratese, di cui almeno da quest’anno fu Abbas Perpetuus. Nella tranquilla e prospera cittadina toscana, alla cui aria salubre attribuì in numerose rime il suo risanamento, si riaprì alla vita sociale e forse all’amore non solo spirituale, come testimonia la concretezza delle rime per una Selvaggia della famiglia dei Buonamici.

Al felice incontro con le famiglie pratesi è dovuta la riproposta della soluzione dialogica nel Dialogo delle bellezze delle donne intitolato Celso dal nome dell’interlocutore principale.
La bellezza femminile era un soggetto in voga fra i neoplatonici; il Firenzuola accentua il tema della bellezza come armonia delle forme in cui il piacere dei sensi sublima in superiore contemplazione intellettuale. Tuttavia le allusioni velate ma facilmente decrittabili alle donne pratesi utilizzate come modelli per delineare il ritratto della bellezza ideale non mancarono di suscitare pettegolezzi e risentimenti, con il risultato di alienarsi il favore delle famiglie abbienti della città e fu forzato a una nuova solitudine. In difficoltà economiche dovute alla perdita, verso la fine del 1540, del beneficio di Vaiano e al trascinarsi di una controversia con la sorella Alessandra per l’eredità del padre morto nel 1538, condannato all’isolamento a causa dei dissapori subentrati nei rapporti con le famiglie pratesi, il Fiorenzuola si spense a Prato il 27 giugno 1543 in assoluta solitudine. I fratelli appresero della sua morte solo due settimane dopo, come si legge nel rogito, nel quale rinunciarono all’eredità perché ritenuta negativa.

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