Pensare come Leonardo.

Il mio libro su Leonardo da Vinci circa l’origine cinese di sua madre, con una presentazione di Salvatore Giannella, è uscito in questi giorni presso l’editore Gingko di Bologna.
Alcuni amici mi chiedono come posso aver raggiungo una conclusione tanto azzardata e che prove ho per dimostrare la veridicità di questa mia bizzarra idea.
Rispondo che la mia è solo una possibilità fra le altre e che lascio al lettore tirare le proprie conclusioni. Ho scritto questo libro proprio per mettere in discussione certi indizi conscio del fatto che, generalmente, nel caso di Leonardo le certezze sono poche. E non solo per quanto riguarda la sua biografia ma anche per l’attribuzione di un disegno o di un quadro, dato che quasi mai esiste un accordo fra gli esperti.

Certa è la rimozione dalla nostra memoria collettiva del capitolo della schiavitù domestica orientale durante il Rinascimento, con migliaia di bambine gettate in schiavitù. I tartari, che occupavano la Crimea, le vendevano ai veneziani e ai genovesi che passando per Costantinopoli, trasportandole sino al nostro Paese. Questo dato è incontrovertibile, poiché esistono negli archivi delle principali città italiane migliaia di documenti notarili che provano il loro acquisto, il loro battesimo e in certi casi il loro affrancamento.

Esistono indizi che la madre di Leonardo fu una di queste bambine, come già dimostrato da Francesco Cianchi nel suo libro La madre di Leonardo era una schiava? del 2008. Un aureo libretto, poco conosciuto, mai tradotto in altre lingue eppure compilato dal grande studioso Renzo Cianchi, prima della sua morte prematura e poi dato alle stampe dal figlio. Negli anni ottanta Renzo Cianchi ne parlò a Neera Fallaci, che ci scrisse un articolo che destò una certa curiosità. Va comunque precisato che il Cianchi non parlava della nazionalità della schiava Caterina, bensì solo del fatto che veniva detta schiava nel testamento di Ser Vanni, un facoltoso cliente di Ser Piero Da Vinci, padre di Leonardo.

Mchael J. Gelb è un esperto americano di pensiero creativo, un educatore e un amante di Leonardo che ha tentato di applicare e trasformare certi principi da lui enunciati nei suoi taccuini. Pubblicò il suo “How to think like Leonardo” tradotto in italiano come “Pensare come Leonardo. I sette principi del genio” nel 1998 e da allora è andato attraverso varie edizioni diventando un bestseller, ristampato e tradotto in decine di lingue diverse dall’inglese.
L’approccio di Gelb a Leonardo è molto positivista, ginnico e ingenuo, cosa che avrà fatto certamente storcere il naso gli accademici e ai leonardisti a tempo pieno, ma si tratta di un’opera originale e utile, che offre ai giovani una visione nuova del genio toscano.
L’ingenua non ortodossia dell’autore la si nota subito nell’introduzione, quando loda Charles Dent, un ex pilota americano morto nel 1994 che decise di investire i propri risparmi e le proprie energie al fine di ricostruire il gran cavallo di Leonardo, il cui modello di creta fu usato dai balestrieri francesi nel 1500 come bersaglio per le loro frecce. Fondò una società per farlo rinascere, la: “Leonardo Da Vinci’s Horse Inc.”.
Fu alla fine scolpito da Nina Akamu e una copia è a Milano, in un angolo nascosto della città, all’ippodromo di San Siro, anche se certamente andrebbe posto in un luogo più in vista, essendo molto bello e maestoso.
Pochi lo sanno e pochi lo vedono, e quanto dovettero penare i suoi figli per convincere il comune di Milano ad accettarlo! Una seconda copia è in Michigan, a Grand Rapids. Una più piccola sta a Vinci e una a Allentown, Pennsylvania, cittadina d’origine del Dent.
Questa storia del cavallo è in fondo molto americana, e chissà se Dent sapeva che Leonardo lo considerava solo il primo stadio del suo progetto, dopodiché avrebbe gettato nel bronzo il cavaliere: il padre di Ludovico il Moro, Francesco Sforza.

Ma forse è così che deve essere, perché senza una buona dose di ingenuità e un pizzico di santa ignoranza non si porterebbe nulla a compimento. Forse, negli anni venturi, Dent e la storia del suo cavallo diventeranno materia leggendaria e dunque si trasformeranno, essi stessi, in opera d’arte.

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