Un Ricordo di Giuseppe Fasoli, Ardito Veronese.

Il San Luigi Gonzaga di Giuseppe Fasoli.

Giuseppe Fasoli (Nato a Negarine nel 1897 – morto a Verona 23 marzo 1995) fu un sergente nel corpo degli Arditi durante la I Guerra Mondiale. Combatté spesso in prima linea, venendo congedato con il grado di sergente del Sesto battaglione Arditi. Ricevette varie decorazioni, fra le quali la medaglia d’oro a titolo d’Amicizia e la cittadinanza onoraria di Vittorio Veneto.

Scrivo di lui perché è stato il padre dell’amico Gian Antonio Fasoli. Durante i nostri incontri conviviali, Gian Antonio citava spesso una semplice immagine che suo padre teneva sopra al comodino, di fianco al suo letto.

Quella immaginetta scolpita nella pietra se l’era messa nella giacca il 27 febbraio 1917, raccogliendola in una chiesa posta sulla linea del fuoco, a Vidor, sul fronte del Piave. Giuseppe, alzandosi dal pavimento di quella chiesa, fra le pallottole e gli scoppi delle granate, vide quel santo  appeso a un chiodo. Ne fu stupito e disse all’immagine: “Che fa qui, signore? È meglio che venga con me, sennò farà una brutta fine”. Rappresenta San Luigi Gonzaga e ogni sera, prima di addormentarsi, suo padre gli toccava la spalla con l’indice e si faceva il segno della croce.

Giuseppe Fasoli a 97 anni.

Vidor, in provincia di Treviso, fu occupata dagli imperi centrali sino alla fine del conflitto, e vide danneggiato il suo splendido patrimonio, fra cui una bella chiesa antica. Dopo la rotta di Caporetto, alla fine del 1917, assunse un ruolo fondamentale per permettere la ritirata alle truppe italiane più avanzate, rimaste imbottigliate.

Giuseppe Fasoli apparteneva al corpo d’elite dell’esercito italiano, gli Arditi, il primo esempio di truppe speciali nel mondo. Chi ha visto il film “1917” nelle sale cinematografiche, oppure ha letto il libro che abbiamo pubblicato di Oswald Mosley “La Mia Vita” può farsi una idea di cosa sia stata la guerra in trincea, e fu naturale che a qualche ufficiale italiano venne l’ispirazione di rompere l’impasse. Crearono delle truppe speciali, armate di bombe a mano “a petardo” e pugnali per muoversi rapidamente dentro alle trincee nemiche, come dei veri e propri guerrieri Ninjia giapponesi, sfruttando le tenebre e la sorpresa. Il loro motto era: “O la Vittoria, o tutti accoppati”. Erano noti fra i comuni fanti come “le fiamme nere” e quando sentivano che stavano arrivando per aprirgli il terreno oltre i reticolati, si rinfrancavano.

Il corpo degli Arditi fu sciolto nel 1920, anche se le loro tradizioni militari vengono ancora tenute vive dal 9° reggimento paracadutisti Col Moschin. I primi nuclei di Arditi nacquero e si addestrarono a Manzano (Udine), in località Sdricca, dove vengono ancor oggi rievocati durante l’ultima domenica di luglio.

Operativamente gli Arditi agivano in piccole unità d’assalto, i cui membri erano dotati di bombe “Thévenot” e pugnali, utilizzati in assalti alle trincee nemiche. Le trincee poi venivano tenute occupate fino all’arrivo dei rincalzi di fanteria. Il tasso di perdite fu sempre estremamente elevato.

Chiesa di Vidor nel 1918. Si vedono i segni delle bombe e delle pallottole.

Partito per la guerra a 18 anni, Giuseppe Fasoli, tornò a casa nel 1918 e riprese il lavoro nei campi. Non parlò mai con nessuno di ciò che aveva fatto e di ciò che aveva visto. Tutto quanto disse al figlio Gian Antonio si limita a questa piccola scultura con il Santo, al quale si affidava prima di riposare. Quando gli domandavano qualcosa, guardava altrove e cambiava discorso. Questo è comprensibile, la guerra che condussero nelle trincee raggiunse dei livelli di ferocia oggi inimmaginabili.