Enrico Bernardi da Quinzano. L’inventore dimenticato dell’automobile

Modello della prima auto di Bernardi, conservata presso ufficio ACI di Verona

Le automobili hanno radicalmente cambiato la nostra civiltà, contribuendo sia alla nostra liberazione che all’inasprimento delle nostre nevrosi. Grazie ad esse la nostra società s’è sviluppata, sia da un punto di vista civile, che militare e architettonico. Per capire la loro importanza basta osservare il loro lato negativo e sinistro, ovvero il numero altissimo di vittime che provocano ogni anno: milioni di morti e di feriti causati da incidenti e da malattie indotte dalla combustione dei carburanti e dalle polveri sottili che generano i motori. Eppure, se ora qui ne volessimo proporre l’abolizione, verremmo tacciati d’essere dei pazzi luddisti.

Forse pochi fra coloro che ci leggono immaginano che queste macchine furono inventate in Italia. La prima vera automobile fu costruita da un ingegnere veronese, nativo di Quinzano, un paese di tremila anime oggi frazione della città di Verona. Il nome di questo ingegnere è Enrico Zeno Bernardi (1841 – 1919), un ragazzo prodigio con il bernoccolo per la matematica e per la meccanica. Un’ asteroide scoperto nel 1998 da due astronomi italiani porta il suo nome, si chiama 25216 Enricobernardi. Il problema del ritardato sviluppo dell’industria dell’auto in Italia, prima che la FIAT di Torino mettesse le salde radici, lo si deve alla scarsità di capitali, che invece erano disponibili in Germania, Francia e Gran Bretagna.
Quinzano è un paese tranquillo e sereno, che non ci appare essere il luogo dove ebbe inizio la forsennata motorizzazione del nostro pianeta; eppure le sue radici storiche sono profondissime. Si trova all’inizio dei colli della Valpolicella abitati in epoca preistorica da ominidi predecessori del Homo Sapiens e, addirittura, nel vicino comune di Avesa si erano ritrovati resti di Neanderthal!
Durante il medioevo vi nacquero l’Arcidiacono Pacifico e Sant’Alessandro, vescovo di Verona, e alle falde del monte Calvario, che domina il paese, sorge la chiesa di San Rocco, sulla cui sommità, s’ammira il romitaggio di San Rocchetto, che ci ricorda certi monasteri visitati in Tibet e in Ladakh. L’amenità dei luoghi s’infrange pensando al santo tutelare, San Rocco, protettore dei morti appestati.
Il castello nel centro del paese, dove Bernardi vide la luce, è oggi semi diroccato ed è stato posto in vendita.

Enrico Bernardi fu di intelligenza precocissima e già a 12 anni aveva cominciato a pensare – un po’ come Leonardo Da Vinci – a come poter creare una vettura capace di muoversi senza cavalli e poi, con l’aiuto dei suoi compagni di classe trascinati dal suo entusiasmo, creò dei marchingegni meccanici che ottennero dei riconoscimenti.
Si laureò in matematica nel 1863 all’università di Padova e poi divenne professore universitario presso la locale Regia Scuola di Ingegneria. Studiò i disegni d’Erone d’Alessandria e di Leonardo Da Vinci sugli assi e propose delle modifiche al differenziale per la trasmissione del moto. Fin dal 1874 aveva studiato il motore a scoppio, che era stato inventato nel 1853 a Firenze da Eugenio Barsanti e Felice Matteucci. Nel 1877 Felice Matteucci, di fronte all’attribuzione dell’invenzione del motore a scoppio al tedesco Nikolaus August Otto, rivendicò l’invenzione a sé e a Barsanti, facendosi forte del brevetto depositato in Inghilterra, Francia, Piemonte e all’Accademia dei Georgofili a Firenze. Ma non riuscì a farsi riconoscere l’invenzione, nonostante il disegno di Otto fosse palesemente identico al loro.
Enrico Bernardi, nel 1882, a sua volta ottenne un brevetto industriale per un motore a scoppio a quattro tempi da lui progettato e realizzato.
Nel 1880 applicò il suo motore miniaturizzato a una macchina per cucire e poi, nel 1884, realizzò un veicolo a triciclo per il figlio Lauro, che aveva allora 5 anni. Esiste una foto che ci mostra Bernardi affiancato dalla moglie, mentre circolano per le strade di Quinzano. Quello fu il primo veicolo al mondo azionato da un motore a benzina, un giocattolo all’inizio ma il suo creatore si rese subito conto delle sue potenzialità e, presentandolo all’esposizione internazionale di Torino nel 1884, ottenne una medaglia d’oro e il primo premio. Un analogo triciclo metallico a motore fu messo a punto dal Benz solo nell’anno successivo, nel 1885.
Certo del futuro dell’auto, Bernardi nel 1896 diede inizio alla sua attività imprenditoriale con un’officina per produrle. L’azienda fu impiantata da due giovani ingegneri, Giacomo Miari e Francesco Giusti Del Giardino, allo scopo di industrializzare il prototipo di Bernardi. La Miari & Giusti fu la prima azienda automobilistica del mondo, e aveva sede in via San Massimo, a Padova. Produssero prima il modello a triciclo e poi uno spider a quattro ruote di 2.5 cavalli di potenza e che poteva raggiungere i 35 chilometri orari. In alcuni musei italiani si conservano ancora degli esemplari funzionanti di queste autovetture.
Si badi bene che l’apporto di Enrico Bernardi all’auto non si limitò al puro e semplice sistemare un motore su delle ruote, ma si tradusse nello sviluppo di nuove soluzioni tecniche, alcune rivoluzionarie, che continuano a esistere sulle auto moderne. Per esempio: un nuovo tipo di carburatore, un sistema d’accensione senza candele con una rete di platino, valvole d’aspirazione sulle teste dei cilindri migliorate nei tempi d’aspirazione e d’espulsione dei gas.
Purtroppo, la mancanza di adeguati capitali costrinse la Miari & Giusti di Padova a chiudere i battenti dopo due anni d’attività, pur essendo stata tecnicamente superiore alle Fiat prodotte a partire dal 1899.
Bernardi fu amico di Giovanni Agnelli, che l’assunse come proprio consulente partecipando allo sforzo bellico nella prima guerra mondiale. Furono i fondi stanziati per la guerra che permisero alla casa torinese di svilupparsi enormemente.
Se Enrico Bernardi fosse nato negli Stati Uniti, siamo certi che Hollywood gli avrebbe già dedicato un film e, nonostante esistano piccoli studi settoriali dedicati alla sua opera, manca una vera biografia. L’anno venturo cadrà il centenario della sua morte, forse questo anniversario ci permetterà di ovviare a tale grave mancanza?

Angelo Paratico