Lo scambio fra Ramusio e Fracastoro circa le piene del Nilo

Giovanni Battista Ramusio (Treviso, 20 luglio 1485 – Padova, 10 luglio 1557) è stato un diplomatico, geografo e umanista italiano della Repubblica di Venezia. Fu l’autore del primo trattato geografico dell’età moderna.
Figlio del trevigiano Paolo Ramusio, magistrato della Repubblica Veneta, fu discepolo del filosofo e umanista Pietro Pomponazzi, fece parte dell’Accademia Aldina collaborando con il suo fondatore, il famoso umanista e stampatore Aldo Manuzio, per il quale curò le edizioni aldine di Quintiliano 1514 e della Terza deca di Tito Livio 1519. Scambiò fitte corrispondenze con eminenti personalità del suo tempo, quali il letterato Pietro Bembo e il medico Girolamo Fracastoro.

 

Girolamo Fracastoro, Medico e filosofo (Verona 1476 o 1478 – Incaffi, Verona, 1553). Studiò a Padova con Giovanni Aquila, Gabriele Zerbo, Pietro Trampolino e con Girolamo e Marcantonio della Torre; certamente entrò in contatto con Pomponazzi e da costui fu influenzato nella sua formazione filosofica.

 

 

DISCORSO DI MESSER GIO. BATTISTA RAMUSIO SOPRA IL CRESCER DEL FIUME NILO, ALLO ECCELLENTISSIMO MESSER IERONIMO FRACASTORO.

[1]

Come furono varie e diverse opinioni sopra i fonti del Nilo; quando cominciano le pioggie in quelle parti di Etiopia e quando finiscano; la causa dell’escrescenza del Nilo; come nasce nel regno di Goiame da due grandissimi laghi; e non esser fiume alcuno che scorra per tanto paese sotto il sole quanto il Nilo.

Furono, eccellentissimo Signor mio, fra gli antichi scrittori diverse e varie oppenioni sopra li fonti del Nilo, e d’onde avenisse che ogni anno nella state, ad un tempo determinato del solstizio, quando gli altri fiumi sogliono esser secchi o con poca acqua, questo solo allora comincia a crescere, e per quaranta giorni tanto si gonfi che egli inondi e allaghi tutto il paese dell’Egitto, e dapoi in altri quaranta giorni discrescendo ritorni nel suo alveo consueto. E la intelligenza di tal cosa fu reputata tanto degna e ammirabile, che si vede tutti i grandi uomini nei lor libri averne voluto far particolare inquisizione. E Omero, padre de’ poeti, lo dimanda acqua che vien da Giove, e si legge che Eudoro e Aristone, filosofi peripatetici, ne composero sopra tal materia libri interi. La qual, ancora che sia stata per lo adietro disputata da molti eccellenti ingegni, nondimeno fin a’ tempi nostri non si sa che ella sia stata determinata né chiarita: e la causa di tal ignoranza si comprende esser proceduta solamente per non essere state penetrate quelle parti da alcuno uomo d’intelletto che le abbia volute considerare e descrivere. E conciosiacosaché, essendovi andato del MDXX don Francesco Alvarez con uno ambasciadore del re di Portogallo, e notato meglio che egli ha saputo il viaggio suo fino alla corte del Prete Ianni, ne abbiamo al presente tanta notizia che, se per un altro uomo diligente vi fussero aggiunti li gradi delle altezze delli luoghi principali, e massimamente da un capo all’altro del Nilo, che costui non vidde, si potria quasi appresso congietturare la causa del crescer del detto fiume; imperoché, smontato che egli fu sopra la banda sinistra del mar Rosso al porto detto Ercocco, ch’è in gradi 16 sopra la linea, e di lì andato al monastero della Visione, XXIIII miglia lontano, gli fu detto che alli 17 di giugno cominciava in quelle parti dell’Etiopia il tempo delle pioggie, che essi chiamano verno, e durava fino alla mettà di settembre, e così dice che andando alla detta corte, che era andar verso la linea, ebbe per tutto quasi il mese di luglio pioggie grandissime e acque infinite; per la lezione della quale scrittura confesso a Vostra Eccellenza che mi allegrai grandemente, tenendo per fermo che questa fusse la vera causa, sì come veramente ella è, di tal escrescenza, né che più oltra si dovesse cercare; nondimeno, avendovi voluto pensar sopra e considerar alquanto minutamente le particularità che scrive questo don Francesco, vi trovo delle difficultà non poche, che non mi lasciano così a punto del tutto satisfare. E accioché Vostra Eccellenza intenda quelle cose che mi fanno dubitare, mi sforzerò col piccolo e debile ingegno meglio che saperò di esprimerle. E per tanto dico che, per lo scriver del viaggio di questo uomo e per il titolo che si legge nelle lettere del Prete Ianni, il fiume del Nilo nasce nel regno di Goiame da due grandissimi laghi che assomigliano a mari, i quali non bisogna dubitare che non siano oltra la linea dell’equinoziale verso l’Antartico, sì per li termini che di detto regno vengono descritti dal prefato don Francesco, come per la oppenione di Tolomeo, che gli mette in gradi sei australi, e quivi il detto fiume, passando sotto la linea, e dopo le due cataratte maggiori e minori, che sono cadute che fa il fiume di alcuni luoghi alti, si sparge per campagne, dove perde l’alveo, e di nuovo poi ritornato in sé, fatti alcuni rivolgimenti, passa il tropico di Cancro e se ne viene diritto alla città del Cairo, sboccando nel mar nostro Mediterraneo. E non è fiume alcuno di quelli de’ quai abbiamo notizia in questo nostro abitabile che corra così lungamente e per tanto paese sotto il corso del sole come fa questo.

[2]

Dubitazion sopra il crescer del Nilo, e che fra li tropici non si vede mai neve.

Ora dei fonti del Nilo non accade dirne altro, avendosene al presente tanta notizia. Ma ritornando alla escrescenza del fiume che si causa dalle pioggie, dico che ‘l corpo del sole, sì come Vostra Eccellenza sa molto meglio di me, è sempre quel medesimo, col suo splendore puro e semplice, né si può mai in quello imaginarsi alterazione alcuna di caldo o di freddo, vada pur dalli solstizii alli equinozii o dalli equinozii alli solstizii, così verso il nostro polo come verso l’opposito, che sempre da quello non può venir altro che lume semplice; ma il caldo, il freddo, le nebbie, le pioggie, i tuoni che si fanno qui da noi, sono accidenti che fa il ripercuoter di questo lume sopra diverse parti della terra, come saria a dire in luoghi piani, diserti, aridi, bagnati, sopra monti over valli, paludi over mari, dove secondo la varia ripercussione di questo lume si causano varii e diversi effetti, li quali sono maggiori e minori secondo la longhezza over brevità del tempo che ‘l sol dimora sopra le dette parti, e anco secondo che li raggi di quello battono diretti e perpendiculari, obliqui over lontani.

E per tanto, volendo discorrere sopra questo crescimento del Nilo secondo la scrittura di questo don Francesco, faremo questo presupposito, e diremo che alli fonti di quello sia A verso l’Antartico, e dove è Ariete sopra l’equinoziale sia B, la metà di Tauro sia C, il tropico di Cancro sia D, e ritornando alla metà di Leone sia E, e di nuovo sopra l’equinoziale, dove è Libra, sia F. Vorrei saper da Vostra Eccellenza d’onde avviene che ‘l sole, partendosi dall’equinoziale, dove è B, cioè Ariete, e andando a C, dove è la metà del Tauro, e di lì poi a D, dove è il tropico di Cancro, sempre però passando sopra il fiume del Nilo, non causa escrescenza alcuna; ma come ei si rivolta da D ad E, cioè da Cancro a Leone, immediate per quaranta giorni egli fa così gran pioggie ed escrescenza, e da E ad F, cioè da Leone all’equinoziale, dove è Libra, va poi diminuendo e cessando. Questa varietà che si vede causar così grande sopra una linea medesima, che è il Nilo, in questo viaggio del sole, cioè che venendo verso il solstizio estivo egli non faccia alterazione alcuna, ma partitosi da quello causi così gran pioggie, mi genera una gran dubietà e ambiguità nell’animo, né mi posso imaginare da che possa procedere, perché li medesimi luoghi piani, aridi, secchi, umidi, monti e valli che il sol truova venendo verso il tropico di Cancro, li medesimi egli ritruova ritornando, e le medesime e l’istesse ripercussioni di raggi sono fatte nel ritorno che furono nel venire. E se la Eccellenza Vostra mi rispondesse che il sole nel ritorno ritruova le parti della terra scaldate, e per l’alterazion di quelle egli è più potente ad elevar vapori e nebbie e quelle risolver in pioggia, le rispondo: per che cagion fa egli questo effetto per li quaranta primi giorni che si parte dal tropico di Cancro, cioè dalla metà di giugno, secondo il scriver di don Francesco, e passati quelli va sempre mancando di forze, fin che giunge in Libra sopra l’equinoziale, e nondimeno ei non si diparte mai col suo corso di passar sopra il Nilo? E se la Eccellenza Vostra volesse addurre che le nevi che sono sopra li monti di Etiopia o della Libia, per li raggi perpendiculari del sole nel suo andar al tropico e ritorno, si dileguano e fanno questa escrescenza, le dico che fra li tropici non si vede mai neve, per quello che vien affermato, ma in luogo di quelle le sommità degli altissimi monti sono sempre circondate da folte e grosse nebbie, le quali non si dipartono, né perché il sole vi passi perpendiculare, né perché egli sia lontano, ma vi stanno sempre risolvendosi in pioggia. E che questo sia il vero li monti dell’isola di San Tomé, che è sotto l’equinoziale, e Serra Liona, che è sopra l’Africa gradi otto verso di noi, di continuo lo dimostrano. Poi questa escrescenza del fiume si comincia a far su la Etiopia e molte miglia di sopra la città di Siene, che è sotto il tropico; né li monti di Libia, che son fuori di quello, vi possono con le lor nevi, se è vero che ne abbino, far effetto alcuno.

[3]

Ch’il sol, venendo al solstizio, non è causa di queste pioggie onde cresca il Nilo.

Quello che fin ora abbiamo detto è stato per il sentimento che abbiamo cavato dalla scrittura del detto don Francesco. Ma lasciando quella si può discorrere ancora ad un altro modo e dire che, cominciando a crescer il Nilo nella città del Cairo alli 17 di giugno ordinariamente, come molti uomini che lo hanno veduto per molti anni lo affermano, e allo ‘ncontro dicendosi che nella Etiopia alla metà del detto mese comincia il lor verno con pioggie grandissime, che fan crescer il Nilo, questa cosa è molto difficile da comprendere, conciosiaché l’acqua di dette pioggie non è possibile ch’ella possa giunger in così pochi giorni per sì lungo spazio di cammino fino al Cairo, per un fiume che lentamente con tante rivolture va correndo. E per tanto è necessario di concludere che, come il sole giunge alla metà del Tauro, comincino allora le pioggie, e che elle continuino fin che egli viene ascendendo al principio di Cancro sopra il solstizio, che sono quaranta giorni, e che, come il sole poi dà la volta e comincia a discendere, elle cessino allora del tutto. E a questo modo l’acqua delle prime pioggie, caduta nel principio di maggio, comincierà giunger alla metà di giugno al Cairo, e andarà crescendo per il medesimo spazio di tempo che il sol pose fin al solstizio; allora cessando di piovere, il fiume a poco a poco cominciarà ancora egli a descrescer per il medesimo tempo di quaranta giorni, fin che sarà fornita di venir giuso tutta l’acqua piovuta. E per questa varietà è forza che torniamo di nuovo sopra la medesima difficultà che abbiamo toccata di sopra, cioè per che causa il sole debba far piovere venendo al solstizio, e da quello partendosi debba cessare, massime correndo sempre sopra la medesima linea del Nilo in questo suo ritorno, come egli fece nella sua venuta. E accioché la Eccellenza Vostra senta quello che di questa materia pensarono gli antichi, non sarà fuor di proposito lo udirne parlare alquanto da Diodoro Siculo, il quale con somma diligenza raccolse insieme tutte le loro oppenioni, e nel mezzo del primo libro della sua istoria dice in questo modo.

[4]

Varie opinioni delli antichi sopra il crescere del Nilo, da Diodoro Siculo con somma diligenzia raccolte. Che dalli re del Cairo fu fatto il niloscopio, cioè regola del Nilo, per veder ciò che a tutte l’ore faceva il Nilo, del qual niloscopio facevano dell’abondanza di quell’anno.

Del crescer veramente del fiume Nilo, sì come a quelli che lo vedono è cosa maravigliosa, così è fuor di ogni credenza a quelli che ne odono parlare, conciosiacosaché tutti gli altri fiumi circa il solstizio estivo diminuischino e di giorno in giorno si vadino facendo minori, questo solo allora cominci a farsi grande, e continui tanto ogni giorno a gonfiarsi che alle fini inondi e cuopra quasi tutto il paese dell’Egitto; nel medesimo modo dipoi al contrario mutandosi, in equal tempo di giorno in giorno a poco a poco vada discrescendo, fin che egli ritorni nel suo pristino stato. Ed essendo tutto questo paese piano di campagna, e le città, ville e cappanne edificate sopra monti di terra fatti a mano, rapresenta a chi lo riguarda le isole dell’arcipelago dette Cicladi. La più parte delle fiere terrestri muoiono affogate dal fiume, se non quelle che alli luoghi alti fuggendo si salvano; le pecore e altri bestiami, nel tempo di queste inondazioni, rinchiusi nelle ville e cappanne si pascono del cibo che per innanzi tutto quel tempo gli vien preparato. Allora li popoli, liberi dalle fatiche, attendono a darsi buon tempo, faccendo conviti e senza pensiero godendo di quelle cose che più gli piacciono. E per il travaglio che suol apportar seco una tanta inondazione, fu fabricato dalli re nella città di Menfi, cioè Cairo, uno edificio nel qual si poteva vedere a tutte l’ore ciò che faceva il Nilo, e fu chiamato per questo niloscopio, cioè regola e livello del Nilo. Quivi coloro che a questo erano deputati pigliavano la misura del crescimento che faceva il fiume ogni giorno, e poi con lettere lo facevano sapere alle città, dichiarando quante braccia over dita era cresciuto, e quando egli cominciava a discrescere: d’onde avveniva che, intendendosi da ogniuno questa mutazione, così del crescere come del discrescere, sicuri da ogni paura se ne godevano, conciosiacosaché conoscevano subito l’abondanza de frumenti e d’altre biade che aveva da esser quell’anno, per una antica osservazione che hanno gli Egizi con somma diligenza scritta appresso di loro.

E ancora che il render la causa di questa inondazione sia cosa molto difficile e dubia, non però per questo noi debiamo restare di non volerne dire alcuna cosa sommariamente, sì per non far troppo lunghe digressioni, come per non lassar che di una materia tanto appresso ogniuno dubbiosa non ne facciamo anco noi alcuna menzione. E per tanto, universalmente sopra li scrittori parlando, dico che del crescer del Nilo e delli suoi fonti, e delle bocche per le quali scorre nel mare, e di molte altre cose nelle quali egli, che è il maggior del mondo, sia differente da tutti gli altri fiumi, alcuni scrittori non hanno avuto ardimento di volerne dire cosa alcuna, ancora che sopra ciascun altro piccol torrente sogliano far molto longhe dicerie. Altri, essendosi mossi a volerne render la causa, molto lontani dalla verità sono andati vagando. Ellanico, Cadmo ed Ecateo e tutti gli altri simili scrittori antichi, non sapendo che dirne altro, in cose fabulose si hanno lassato trasportare. Erodoto, che come ogni altro scrittore è diligente e curioso, e di molta pratica d’istorie, sforzandosi di renderne la causa, si trova che egli medesimo contradisse alle sue ragioni. Xenofonte e Tucidide, li quali quanto alla verità tengono il primo luogo fra tutti gl’istorici, del tutto si sono astenuti di parlar de’ luoghi dell’Egitto. Eforo e Teopompo si vede che, quanto maggior fatica e studio in questo hanno posto, meno di tutti gli altri hanno potuto conseguire la verità. E tutti hanno errato non per negligenza, ma per non aver avuta cognizione e perizia di tal paesi e regioni, conciosiacosaché dagli antichi tempi fino al re Tolomeo detto Filadelfo, non solamente Greco alcuno era passato in Etiopia, ma neanco fino alli monti di Egitto, talmente erano tutti questi luoghi senza alcun commerzio e del tutto pericolosi. Ma dapoi che ‘l detto re con eserciti di uomini greci entrò nella Etiopia, questa regione fu allora diligentemente conosciuta. E queste furono le cause della ignoranza di tutti li scrittori stati per lo adietro, onde intravenne che niuno fin al tempo di quelli disse aver veduti li fonti del Nilo e il luogo dove è il suo principio, over udito da alcuno che affermi esservi stato. E però, essendo ridotta la cosa in oppenione e congietture probabili, li sacerdoti di Egitto dicono che il detto fiume ha il principio dall’Oceano che circonda tutta la terra abitabile, nel che solamente non dicono cosa alcuna veritevole, ma mi par più presto che vogliano chiarir un dubbio con un altro maggior dubbio, conciosiacosaché per confermazione e prova delle ragioni loro adducono quello che ha di bisogno di esser maggiormente provato e chiarito.

Ma delli popoli trogloditi, quelli che si chiamano Molgii, i quali dalli luoghi di sopra si sono partiti per il caldo, dicono esservi molte congietture per le quali l’uomo può comprender che per molti fonti che in un luogo si vanno ragunando derivi il flusso del Nilo, e per questo esser il più generativo di quanti fiumi che si abbia cognizione. A quelli veramente che abitano l’isola Meroe si può più presto credere, conciosiacosaché siano del tutto alieni da trovare invenzioni che paiano verisimili; nondimeno, essendo costoro vicini a questi luoghi delli quai si disputa, in tanto si allontanano di dir cosa alcuna certa delle sopradette che chiamano questo fiume Astapo, che nella nostra lingua vuol dir “acqua delle tenebre”, e così al Nilo han posto un proprio nome cavato dalla loro innata ignoranza e inscizia delli luoghi incogniti. Ma a noi verissima pare esser quella ragione che si allontana dalle fizioni. E non voglio restar di dire che Erodoto, scrivendo li confini della Libia, che è dalla parte orientale del fiume, e quelli che sono dalla parte occidentale, attribuisce la certa cognizione del detto fiume alli popoli detti Nasamoni, e dice che, avendo principio da una certa palude, corre per la region di Etiopia, che è inesplicabile e infinita. Non però per questo né a questi popoli di Libia che dicono così, ancor che parlino secondo la verità, né allo istorico debbiamo attendere, quando le lor parole sono senza dimostrazione o ragione alcuna.

Dapoi adunque che abbiamo e delli fonti e del corso del Nilo parlato, ci sforzeremo di render le cause del crescimento di quello. Talete, che fu annumerato fra li sette savii della Grecia, dice che, soffiando li venti di ponente che son chiamati etesie, il corso del Nilo è ribattuto all’insù dal mare, e per questo gonfiandosi le acque del fiume, ne segue la inondazione sopra tutto il paese dello Egitto, che è piano e basso. E ancora che questa ragion paia contener in sé qualche dimostrazione, nondimeno facilmente si può convincer per falsa, conciosiacosaché, se questo fusse vero, tutti i fiumi che avessero le lor bocche opposite al soffiar delle dette etesie si gonfieriano col medesimo crescimento: il che vedendosi non accader in alcuna parte del mondo, è bisogno d’investigar un’altra causa, che sia più vera, di questa inondazione.

Anassagora fisico disse che le nevi che si liquefanno nella Etiopia son causa di questo crescimento, la qual cosa par che Euripide poeta suo discepolo sentisse, quando dice:

La bell’acqua lasciando

del fiume Nil, che dalla terra scorre

d’uomini neri, e allor gonfia l’onde

che d’Etiopia si struggon le nevi.

La qual ragione anco facilmente si può ribattere, conciosiacosaché a tutti sia manifesto e chiaro che per la grandezza del caldo è impossibile che nell’Etiopia vi caschino nevi, e universalmente in questi luoghi né ghiaccio né freddo né segno alcun di verno appare, e massimamente nel tempo che cresce il Nilo. E se alcuno pur volesse ch’egli crescesse per causa delle nevi, senza alcun dubio renderia un vento freddo e aere nuvoloso e denso, la qual cosa circa il Nilo solo di tutti i fiumi non si vede, cioè né condensazion di nuvole, né l’aure fredde, né aere denso.

Erodoto veramente afferma il Nilo naturalmente esser della grandezza come si vede nel tempo del suo crescimento, ma che nel tempo del verno il sol, girando sopra l’Africa, tira a sé molta umidità dal Nilo, e per questa causa che in quella stagion di tempo contra la sua natura il fiume si sminuisce e diventa piccolo; ma venendo la state il sole, partendosi da quella regione e venendo verso settentrione, secca e abbassa tutti li fiumi della Grecia e ciascun’altra regione che sia nel sito simile a quella: e però non è cosa maravigliosa questa che accade circa il Nilo, perché si abbassa non nelli caldi grandi ma nel verno, per la causa detta di sopra. A questo si può rispondere che è cosa conveniente che, sì come il sole tira a sé l’umor del Nilo nel tempo del verno, così tirasse ancora da tutti gli altri fiumi che son nella Libia qualche umidità e abbassasse le acque di quelli; ma, perciò che in parte alcuna della Libia non si vede far simil cosa, si comprende che l’istorico poco consideratamente circa questo ha parlato, conciosiacosaché li fiumi che sono nella Grecia crescono nel verno non perché il sole si sia allontanato, ma per la moltitudine delle pioggie che si fanno.

Democrito Abderita dice che li luoghi verso mezzogiorno non hanno nevi, sì come diceva Euripide e Anassagora, ma sì ben li luoghi verso settentrione, come è manifesto a tutti, perché la moltitudine delle nevi raccolte insieme nelle parti boreali nel solstizio iberno rimane agghiacciata, e nella state dal caldo dileguata, il ghiaccio fa gran colliquazione, e per questo si generano molte e crasse nuvole nelli luoghi più alti, perché la esalazione in alto abbondantemente si leva; le quai nuvole poi dalli venti etesie sono spinte fino che si abbattono nelli monti altissimi del mondo, i quali dicono esser nell’Etiopia, e ivi si risolvono in pioggie, dalle quali se ne cresce il fiume, massimamente nel tempo dell’etesie. Questa ragione facilmente si può confutare se diligentemente consideraremo il tempo del crescer del fiume, percioché il Nilo comincia a crescer nel solstizio estivo, quando l’etesie ancora non soffiano, e finisce di discrescer nell’equinozio autunnale, molto innanzi del quale li detti venti sono cessati. E però, quando la certezza della esperienza distrugge la probabilità delle ragioni, si debbe ben laudare lo ingegno dell’uomo, ma non già si debbe dar fede a quelle cose che da lui son dette. Lascio di dire che si vede che l’etesie non più da tramontana che da ponente soffiano, conciosiacosaché non solamente li venti di buora o da greco levante, ma anco quelli che soffiano da ponente maestro, sono chiamati con questo nome di etesie. Dapoi dir che li monti che sono in Etiopia siano li maggiori del mondo, non solamente è senza prova alcuna, ma neanco per effetto alcuno creder si può.

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Altre opinioni di Eforo, di filosofi di Menfi, di Enopide e di Agatarchide, del crescer del Nilo. E quivi come Meandro fiume per esaggerazione ha fatto una gran regione, e il simile Acheloo e il Cefiso.

Eforo, adducendo una molto nova causa, si sforza di farla probabile, ma si vede però che egli non ne conseguisce la verità, perché dice che l’Egitto è tutta terra esaggerata dal fiume e rara e come di natura di pietra di pomice, ha in sé caverne e rotture grandi, e però raguna in sé gran copia di umori, li quali nel tempo del verno in sé contiene, ma nella state manda fuori da ogni banda come sudori, e con questi si empie il fiume. Ma questo istorico non solamente mi par che non abbia veduto la natura delli luoghi di Egitto, ma neanco che l’abbia voluta intendere da quelli che diligentemente l’hanno veduta, perché primamente, se da esso Egitto il Nilo ricevesse questa abondanza che lo fa crescere, nelle parti di sopra per modo alcuno egli non cresceria, correndo per luoghi sassosi e sodi, ma si vede che per spazio di più di 600 miglia egli corre per la Etiopia, e nondimanco è gonfio e pieno per tutto quello spazio avanti che tocchi l’Egitto. Poi, se ‘l flusso del Nilo è più basso delle rarità e concavità della terra esaggerata, accaderia che le fissure e caverne fussero nelle superficie, nelle quali saria impossibile che così gran copia di acqua si contenesse; ma se il luogo del fiume è più alto delle fissure della terra, è impossibile che dalle caverne più basse il flusso degli umori scorra nella superficie più alta. E universalmente chi è colui che giudicasse esser possibile che li sudori contenuti nelle rarità della terra facessero così grande accrescimento del fiume, che da quello quasi tutto l’Egitto si sommergesse? Lasso di dire che è cosa falsa che nella terra esaggerata e nelle rarità di quella si possino servare acque, essendo le prove al contrario manifeste, perché il fiume Meandro nell’Asia ha fatto una gran regione per esaggerazione, nella quale nessuna cosa simile al crescimento del Nilo accader si vede; e similmente in Acarnania il fiume detto Acheloo, e in Boezia il Cefiso, che vien dalli Focensi, non piccola parte di regione ha atterrato, e nientedimeno in tutte due questi si può conoscer manifestamente la falsità che ha detto questo istorico, benché da Eforo non si debbe cercar così per sottile la certezza delle cose, vedendolo, come in molte è stato, così negligente della verità.

Li filosofi veramente di Menfi si hanno sforzato di render la causa di questo crescimento, che più presto non si possa confutare che perché sia verisimile, alla qual la più parte consente. Dividono adunque la terra in tre parti, e dicono che una è questa nostra abitabile; l’altra, che è opposita a questa, simile nelle nostre stagioni dell’anno; la terza, che è posta in mezzo fra queste due, la quale per il caldo è inabitabile. Se il Nilo adunque, dicono, inondasse nel tempo del verno, non saria dubio che dalla nostra zona riceveria quel crescimento, perché in quelli tempi massimamente appresso di noi si generino le pioggie; ma perché al contrario nella state cresce, è cosa verisimile che nelli luoghi oppositi si faccia verno, e si generino acque le quali, abondando da quelli luoghi, in questa nostra abitabile scorrano: e però dicono che nessuno ha potuto pervenire alli fonti del Nilo, come quello che dall’opposita zona per la parte inabitabile passa qui da noi, e di questo esserne testimonio la eccessiva dolcezza dell’acqua del Nilo, il quale scorrendo sotto la zona abbruciata si cuoce, e per questo l’acqua di quello è molto più dolce che quella di tutti gli altri fiumi, perché è cosa naturale che il calore e ‘l fuoco ogni umor addolcisca. Ma questa ragione dà una occasion di contradire, perché pare al tutto esser impossibile che un fiume della opposita terra in questa nostra ascenda, massimamente se si concede che la terra sia rotonda e sferica, perché, ancor che alcuno con ragion voglia audacemente sforzare e far violenza a quello che si vede in effetto, la natura però delle cose a nessun modo il consente. Onde costoro, avendo introdutto una opinione che non si può riprendere, constituendo in mezzo una regione inabitabile, pensano a questo modo di poter fuggire la manifesta confutazione. Ma è cosa giusta che quelli li quali affermano alcuna cosa, o veramente adduchino la evidenza della cosa per testimonio, o veramente faccino dimostrazioni e prove da principii concesse, a che modo il Nilo solo da quella terra opposita a questa nostra passa: non è cosa verisimile che anco in quella vi siano degli altri fiumi, sì come è appresso di noi. Dipoi la causa della dolcezza dell’acqua è del tutto sciocca, percioché, se ‘l fiume cotto dal gran caldo si fosse indolcito, non saria generativo né produrria tante varie forme di pesci e animali come egli fa, perché ogni acqua che dalla natura del fuoco è alterata è alienissima dal generare e produrre animali, e però, essendo la natura del Nilo al tutto contraria a questa cottura nuovamente introdutta, è da pensare che queste cause del crescimento già dette siano false.

Enopide Chio dice che nel tempo della state le acque nella terra sono fredde, e nel verno al contrario calde, la qual cosa si vede manifestamente nelli pozzi profondi, li quali nel tempo del maggior freddo hanno l’acqua molto manco fredda, ma nelli gran caldi quella che si cava è freddissima. E però dice esser cosa ragionevole che il Nilo nel verno sia piccolo e contratto, perché il caldo che è sotto la terra consuma molta parte della sustanza umida, non accadendo pioggie altramente nell’Egitto; ma nella state, perché non si consuma più sotto terra l’acqua nelle profonde parti, il natural flusso del fiume senza impedimento alcuno si empie e cresce. Ma contra questa ragione ancora si può dire che molti fiumi sono nella Libia li quali similmente hanno poste le bocche e similmente scorrono, e nientedimeno non inondano e crescono come fa il Nilo, ma al contrario, nel verno crescendo e nella state calando, dimostrano la falsità di colui che con probabilità si sforza di superar la verità. Appresso la quale si è bene accostato Agatarchide Gnidio, il qual dice ch’ogni anno nelli monti di Etiopia si fanno continue pioggie dal solstizio estivo fino all’equinozio autunnale, e però naturalmente il Nilo nel verno sta basso, nella sua natural quantità di acqua che viene dalli suoi fonti, ma nella state dalle pioggie che abbondano cresce. E se ben nessuno fin oggidì ha possuto assegnar la causa della generazion di queste acque, dice però che non si deve reprobare questa sua openione, perché la natura suol produrre molte cose a modo contrario, delle quali trovarne le cause certe agli uomini non è possibile, e che quello che accade in alcuni luoghi dell’Asia può esser testimonio di questo ch’egli ha detto. Conciosiacosaché, nelli luoghi della Scizia che si congiungono al monte Caucaso, ogni anno quando è passato il verno, sogliono cader grandissime nevi continuamente per molti giorni, e nelle parti dell’India che guardano verso il vento di buora, a certi tempi determinati suol discendere tempesta di grandezza e moltitudine incredibile, e circa il fiume Idaspe continue pioggie: e nella Etiopia dopo alquanti giorni il medesimo accade, e così questa mutazione, rivolgendosi per circolo, sempre diversi luoghi continuamente infesta e perturba. E però dice egli che non è cosa fuori di ragione se diciamo che nella Etiopia, che è sopra dell’Egitto, le continue pioggie che cadono ne’ monti nel tempo della state fanno crescer il fiume, conciosiacosaché li barbari che abitano in questi luoghi faccino testimonio di questo effetto. E ancora che questo che ho detto abbia contraria natura a quello che accade appresso di noi, non debbiamo però non volerlo credere, perché il vento da ostro, che appresso di noi è pioggioso, si dice che nella Etiopia è sereno, e li venti di buora, che nella Europa sono sì sforzevoli, nella detta regione sono rimessi e al tutto senza forza e deboli.

E del crescimento del Nilo, ancora che potremmo più variamente rispondere e contradire alle openioni di costoro, saremo contenti delle cose dette, accioché non eccediamo la brevità la quale da principio ci abbiamo proposta.

Questo è quanto nelli libri di Diodoro si legge, dove essendovi molte parti, oltra la inquisizione di questo crescimento, degne del sublime ingegno di Vostra Eccellenza, la quale ne ha illustrato, per dir liberamente, tutti li moti dei cieli, con molte altre belle parti di filosofia, contra la oppenione degli antichi, è ben conveniente che anche dagli occhi ella ne debbia levar via la offuscazione di tante erronee imaginazioni che li detti fecero sopra questo globo della terra, la qual si sa ora chiaramente che è tutta abitata, né vi è parte alcuna o calda o fredda, se non sono solitudini e mari, che non sia piena di uomini e animali, che vi stanno ciascuno come in region temperata, dico temperata alla complessione data loro dalla natura. E ancor che sappia quante siano le occupazioni sue di continuo, nondimeno non voglio restar di pregarla ch’ella sia contenta di volere scrivere alquanto lungamente delle cause ch’ella pensa che possano far questa tale escrescenza, perché veramente sono tutte cose tanto maravigliose e stupende che maggiori non mi saprei imaginare, né dove li suoi alti concetti e divini pensieri si potessero meglio esercitare che in queste: non avendo quelli altro piacere e diletto se non di camminare per strade non tocche da piedi di altri, ma che sieno lontane dalle ordinarie e consuete. E così come si legge che a Ercole era cosa fatale il levar via molti mostri che guastavano il mondo, così penso che sia fatale a lei il levar via le tenebre di molte false oppenioni che fin ora hanno tenute offuscate e come guaste le menti di quelli del secol nostro, li quali non è dubbio che, invitati dalli suoi scritti, si sforzeranno di volere ancor essi di nuovo ritrovar qualche parte da lei non tocca, che poi il tutto alla fine redonderà in beneficio delli studiosi.

RISPOSTA DELLO ECCELLENTISSIMO MESSER IERONIMO FRACASTORO DEL CRESCIMENTO DEL NILO A MESSER GIO. BATTISTA RAMUSIO.

[1]

Tre sopra gli altri sono quelli effetti di natura le cui cagioni son molto occulte.

Degli effetti che manifesti nella natura veggiamo, messer Gio. Battista, avvegna che molti siano quelli che hanno le loro cagioni occultissime appresso gli uomini, nondimeno tra tutti tre sono stati precipui e riputati sopra gli altri occulti, e pieni di certa maggior admirazione appresso i nostri maggiori, li quali per la loro difficultà hanno di continuo e in ogni etate affaticato gl’ingegni. L’uno è stato il flusso e reflusso del mare, così terminato di sei in sei ore; l’altro è l’attrazione che di alcune cose veggiamo, sì come dell’adamante, della calamita, dell’ambro e molti altri simili; il terzo il crescimento del Nilo, così ordinato ogni anno in quel tempo nel quale tutti gli altri fiumi sogliono decrescere. Alli quali dubbi li posteriori hanno aggiunto il quarto, cioè il bossolo de’ naviganti, del quale il perpendicolo sempre in ogni sito che sia collocato per sé si volge verso il polo. Problemi nel vero tutti occultissimi e sopra modo incogniti a noi, il che mostra la diversità delle oppenioni di coloro che ne hanno parlato. Molti de’ quali veramente son degni di escusazione in alcuni di questi dubbi, percioché a loro non poterono esser note le cagioni, conciosiaché quelle dipendessero dalla notizia delle regioni e siti e condizioni particulari delle terre e mari e rispetti di quelli al sole, la qual notizia alle loro etati non pervenne: di che noi molto siamo obligati alla nostra, la quale tanto ha navigato e cercato del mondo, che gli uomini dell’altre etati in questa parte si ponno riputar come fanciulli a rispetto del secol nostro. Per il che, sì come gli antichi non poterono aver principio e via alla cognizione di qualcuno di questi effetti, così l’età nostra ne ha possuto aver lume e adito a penetrar molto più dentro, sì come è stata la cognizione del crescimento del Nilo, di che voi, avendone avuto molta e molto degna considerazione per le cose ritrovate di nuovo, ne avete scritto a me e fattomi partecipe degli studii e pensieri vostri, li quali di continuo sono intenti e dirizzati a gentilissime e alte contemplazioni. Ma perché voi circa cotal materia ricercate anco il giudicio mio, e con la proposta di alcune non facili dubitazioni modestamente m’invitate a far quasi commentario sopra il discorso vostro, non potendo io né dovendo negare cosa che io veda piacer a voi, molto volentieri ragionerò vosco di così bella e così anco a me grata materia, per quanto le relazioni che se ne hanno e qualche altro principio mi potranno esser via a farne giudicio, se forse in così difficil cosa mi sarà concesso rettamente giudicare e potere scioglier le vostre dubitazioni.

[2]

Tra li tropici, in ogni luogo ove il sole è perpendiculare, piove sempre qualche poco del giorno.

Supporremo adunque, come per le relazioni si ha, di che più volte avete a me scritto, che tra li tropici, in ogni loco ove il sole si fa perpendiculare o propinquo, sempre piove qualche parte del giorno, e vedesi elevare una folta nebbia che, adunata nella sommità de’ monti, finalmente si converte in pioggia. Anco supporremo che, quando il sole comincia ad entrar nel solstizio estivo, nelli luoghi ove soprasta, e anche propinqui di qua e di là dal solstizio per sei o sette gradi, come sono gli Etiopi vicini all’Egitto e l’Egitto superiore, non solo fannosi le pioggie predette, ma fannosi come diluvii di pioggie che durano per giorni circa quaranta, il qual tempo gli Etiopi dimandano verno, e dura per tutto Cancro e parte di Leone.

[3]

Il sol quando comincia entrar nel solstizio, e anco nelli luoghi propinqui sei o sette gradi, si fanno pioggie grandissime. Il verno appresso gli Etiopi è nel tempo che la estate è appresso di noi.

Appresso supporremo che il crescimento del Nilo comincia parimente anche esso a questo medesimo tempo, cioè quando comincia detto verno appresso gli Etiopi ed è la state appresso noi, il qual crescimento dura circa quaranta giorni, per tutto Cancro e parte di Leone; da indi comincia a calare e decrescer più e più, tanto che in Libra se ne ritorna nel suo alveo dentro le solite rive. Del corso del quale, onde cominci e per quai parti descenda e per quanto spazio, altro non ne dirò se non quanto nel vostro discorso scrivete, supponendo ancora che nella Etiopia ed Egitto a quella vicino siano catene di molti grandissimi monti.

[4]

Che ‘l Niger cresce insieme col Nilo, e due esser le cause per le quali principalmente crescono i fiumi, e molte per le quali possono crescere, ma vengono di raro.

Le quai cose supposte, descendendo alle cagioni che fanno il crescimento del Nilo in quel tempo che gli altri scemano, eccetto quello che si chiama Niger, il qual si dice insieme col Nilo crescere, dico che generalmente li fiumi crescono per due cause principali. L’una è quando interviene impedimento alcuno alle bocche de’ fiumi, per il quale non potendo essi deponer l’acque loro nel mare, necessario è sgonfiarsi e crescere. L’altra è quando oltra l’ordinario nuova acqua e molta precipita nei fiumi, tale che meno è quella che depongono nel mare che quella che ricevono, il che anco fassi o per grande e subito dileguamento di nevi o per moltitudine di pioggie, lassando alcune altre cagioni che ponno certo accadere, ma perché rarissime volte avvengono, non si ponno addurre nel proposito nostro, non ne faremo menzione. Sì come a certe constituzioni o di stelle o di stagioni accade sotto la terra generarsi acqua assai nelli luoghi ove sono le origini de’ fonti, e sì come a certi tempi avviene che le scaturigini dell’acque che sono sotto terra o per terremoti o per altro accidente mutino il loro corso, e sbocchino sopra terra o in qualche fiume o lago, sì come si legge del lago Albano, il quale senza manifesta causa tanto crebbe nel tempo che poi da’ Romani fu preso Vegento. Hassi ancora veduto nascer novi fiumi, che dalla terra usciti ed entrati negli altri fiumi gli hanno grandemente aumentati. Taceremo similmente quelle cause che più presto sono fabulose che possibili, che alcuni adducono de’ crescimenti de’ fiumi, delle quali alcune ne son recitate da Diodoro Siculo e da Seneca. Per il che le cause che ragionevolmente si ponno admettere nel proposito nostro saranno generalmente le predette, cioè le due prime, o impedimento delle bocche o nove acque ricevute, e questo o per dileguamento di nevi o per pioggie grandi: delle quali è da vedere quale possa far il crescimento che nel Nilo si vede.

[5]

Opinione di Talete e di Eudemene sopra il crescer del Nilo, e confutazione di quelle, e quando cominciano a soffiar le etesie.

Sono stati alcuni, come di Talete ed Eudemene si scrive, che hanno stimato il crescimento che si vede nel Nilo sia per impedimento che si fa nelle bocche ove il Nilo entra in mare, il quale impedimento dicono causarsi da que’ venti che si chiamano etesie, non dalle etesie che spirano da ponente, ma da quelle che dall’acquilone, che parimente son chiamate etesie, le quali dicono soffiare a quel tempo che cresce il Nilo, e propriamente per giorni XL come anco cresce il Nilo. Questi venti adunque, soffiando allo opposito del fiume, spingono l’acqua del mare alle bocche del fiume e impediscono l’entrata sua. Ma nel vero questa opinione non si può difendere, prima perché, se è vero quello che scrivono gli auttori dello spirare delle etesie, falso è che comincino col crescimento del Nilo, anzi cominciano quando quasi è la fine del crescer del Nilo, conciosiaché li prodromi, che sono etesie leggieri, non cominciano se non alle fini di Cancro per giorni otto inanzi le etesie, onde son detti precursori, poi rinforzati e soffiando più forte si chiamano etesie, quando già il Nilo è alle fini del crescere, di che Plinio così ne scrive: “Nell’ardentissimo fervore della state nasce la stella della Canicola, entrando il sole nella prima parte di Leone, il qual dì è il quintodecimo innanzi le calende d’agosto: nel nascer di questa per giorni circa otto prevengono gli aquiloni che chiamano prodromi, ma dopo duo giorni di quel nascere gl’istessi aquiloni soffiano più fermamente giorni XL, i quali dimandano etesie”. Il simile scrive Seneca e Columella e altri, onde si può vedere le etesie cominciar quando già il crescimento del Nilo è alle fini, e questa non poter esser la cagione di tal crescimento, per impedimento che si faccia alle bocche.

Oltra di ciò, se tale impedimento fosse la cagione del crescere del Nilo, si vedrebbe apertamente dagli Egizii, e l’onde del mare vedrebbonsi manifestamente essere spinte contro il fiume, e non accaderia tanto dubitare della causa di questo effetto come si fa; vedrebbesi anco cominciare il crescimento da lì in giù, e andar a poco a poco crescendo allo insù, di che il contrario più presto si vede; e ultimamente l’acque del Nilo sariano chiare, e non torbide e lutose, il che essendo, dà segno che quella torbidezza proceda da acque che, per molto terreno correndo, portano quel lozzo grasso e torbido. Non potendo adunque esser cotal crescimento per impedimento fatto alle bocche, né per le etesie né per altro che possiamo imaginare, necessario è che sia per l’altra cagione, cioè per nove acque che precipitano nel Nilo: il che essendo o per dileguamento di nevi, o per pioggie grandi, o per lo uno e lo altro, resta vedere per quale di queste cause possa procedere.

[6]

Che la opinione di Anaxagora è falsa, che le cose che sono possibili solamente non si debbono admetter per vere, e che le pioggie son potissima causa del crescer del Nilo.

E sono alcuni, così degli antichi come anco de’ moderni, ch’hanno detto tal crescimento farsi per dileguazion repentina delle nevi che sono nelli monti d’Etiopia e quelli d’Egitto superiore: e tal opinione si attribuisce ad Anaxagora. Ma neanco questa openione si pò mantenere e ricever per vera, prima perché molto dubbio è se dentro dalla tropici si possano far nevi o no, di che io mi riservo nel fine di questo trattato farne un poco di discorso; poi, concesso ancora che si possano far nevi in que’ luoghi, non però pare che questo si possa addurre per causa del crescimento del Nilo, conciosiaché, se ei fusse, molto innanzi il crescimento del Nilo sariano anco dileguate, però che veggiamo appresso di noi dileguarsi le nevi quando il sole entra nel Tauro, ed è distante da noi per gradi 50: quanto più deveria dileguar quelle che fussero dentro delli tropici, innanzi che entrasse nel Cancro, alle quali saria vicino non per gradi 50 ma per XIII e per XII. E se alcuno dicesse ciò avvenire per la grande altezza delli monti, pigliando esempio dallo Atlante, nel quale, come scrive Plinio, sono nevi etiam la state, e non è lontano dal solstizio estivo se non gradi cinque, dico che costui non adduce cosa che consti per relazione d’alcuno, ma che forse esser può; ma giusto non è le cose che solamente son possibili riceverle come vere, ma si debbono admettere come possibili, e cercare se altre cause ci sono che siano più certe: e se ce ne sono, queste si devono tenere, ma se non ce ne sono, in quel caso è lecito admetter quelle che sono possibili. Per il che, lassando ora in sospeso la cagione delle nevi, cercheremo se le pioggie possono essere in causa perché il Nilo a quel tempo cresca. E veramente, se così è come da principio abbiamo supposto, che quando il sole comincia a entrar nel Cancro, e per tutto Cancro e parte di Leone, si vedono nella Etiopia diluvii grandissimi di pioggie, il che non solo accertano quelli che vi sono stati a’ tempi nostri, ma anco gli antichi scrittori lo confermano, come Diodoro e Plinio e Aristotele nelle sue “Meteore”, senza dubbio è da stimare (o ci siano o non ci siano nevi) che tali pioggie siano la cagione del crescimento del Nilo: e questo penso io sia da metter per certo e constante, ove non accade dubitare.

Ma quel di che si può dubitare è questo, donde e da qual causa si facciano quelli diluvii di pioggie nella Etiopia, e come si possano fare in quel tempo che il sole è nel solstizio e tanto abbrucia ogni cosa: di che io trovo oppinioni molto diverse, e alcuni dicono il sole poterlo fare a quel tempo, anzi solo a quel tempo, alcuni lo negano e adducono altra cagione, della qual cosa è da cercare molto diligentemente. Alessandro Afrodiseo, commentando Aristotele nelle “Meteore”, nel primo libro ove tratta delle pioggie, dubitando circa quello che dice Aristotele, in Arabia ed Etiopia la state farsi pioggie grandissime, dice che la consistenza delle nuvole e li vapori non si fanno ivi, ma son portati dalli venti che si chiamano etesie, come esso Aristotele dichiara nel trattato del crescimento del Nilo. Per il che pare che la openion d’Aristotele e poi di Alessandro sia che la generazion delli vapori che fanno quelle tante pioggie in Etiopia non si faccia del sole in quelle parti, ma siano portate dalle etesie, le quali in Etiopia facciano quello che li scirocchi a noi, e sì come a noi li scirocchi portano gran quantità di nuvoli e vapori, perciò che passano sopra il mare, così le etesie parimente fanno agli Etiopi e all’Egitto superiore passando per molto mare.

[7]

Che la opinione di Aristotile e di Alessandro difficilmente si può difendere, e che alla generazione delle pioggie ci bisogna molte cause, e quali.

Ma veramente, se è lecito dubitare alle openioni di tanti filosofi, molto posso dubitare in questa cosa detta da Alessandro e attribuita ad Aristotele, conciosiaché, se è vero quel che di sopra abbiamo detto per testimonio di molti, che le etesie si facciano alla fine di Cancro, quando già il crescimento del Nilo è propinquo alla fine, io non so come questo che scrive Alessandro possa aver luogo. Al che si aggiunge che, se questa fosse la cagione di quelle pioggie per vapori portati da’ venti, gli abitanti e quelli che vi sono stati e tutti che da quelli potessero esser informati niente dubitariano della causa che fa crescere il Nilo, sì come quando a noi piove per gli scirocchi niente dubitiamo onde siano quelle pioggie. Essendo adunque e appresso gli antichi e appresso gl’istessi abitanti sempre stato dubbio e tanto difficile a conoscer come si facciano quelle pioggie, parmi che mal si possa attribuir la cagione a venti che portino li vapori, tanto più che, se è vero quello che da principio abbiamo sopposto per le relazioni, che ove il sole si fa perpendiculare sempre piova a qualche parte del giorno, che esser non può perché le etesie ci portano li vapori, ma perché il sole si elevi, ragionevole è che anche egli sia la cagione che tante pioggie si facciano quando sta come perpendiculare per molti giorni sopra certi prati. Ma nel vero alla perfetta risoluzione di questa materia molto importeria il sapere certamente a che tempo cominciano a spirare le etesie. E se a Plinio si può prestar piena fede, percioché egli distintissimamente mette il principio loro, Aristotele altro non dice se non che soffiano dopo le conversioni estivali del sole, ma quanto dopo non dichiara, e io per l’esperienza o per relazione altro non posso dirne.

Ci restarà adunque da investigare se il sole può esser causa di far l’attrazione delli vapori che sono materia di tante pioggie, e perché solo a quel tempo lo faccia, che è per tutto Cancro e parte di Leone, nella qual cosa sono non pochi e non facili dubbi: e primo, come in quelle parti tanto secche e bruciate sia tanta materia che sumministri vapori sufficienti a far diluvii di pioggie che durino tanto; poi, dato che si facciano li vapori, come esser può che ‘l sole tanto perpendiculare e diritto non li risolva e proibisca far consistenza di nubi, conciosiaché appresso noi in trenta e quaranta gradi e più vedemo, quando il sole è al solstizio, li vapori che si levano esser anco disciolti, e rade volte la state farsi pioggie, e se pur si fanno, le nubi sono portate d’altronde e la pioggia è molto breve. Oltre a ciò quel che dà più maraviglia è ch’essendo il medesimo rispetto del sole alla terra, il medesimo viaggio per tutto Gemini che per tutto Cancro, perché non si fanno le dette pioggie così in Gemini come in Cancro: di certo gran meraviglia è che stando il sole sopra li medesimi luoghi, mentre che da Gemini va al Cancro e dal Cancro cammina al Leone, che non faccia la medesima attrazione de vapori, le medesime nubi e pioggie in Gemini come in Cancro. Maggior maraviglia è poi che, in tanto tempo che sta come fermo in un luogo, non consumi tutta la materia donde si devono far vapori, conciosiaché appresso noi, che siamo tanti distanti, vediamo la terra tanto essiccarsi, che nulle o pochissime pioggie si fanno. Per questi dubbi io penso Alessandro e gli altri esser mossi a non poter credere che quelle tante pioggie che si fanno la state nella Etiopia non abbiano la lor materia portata d’altronde; nondimeno, perché communemente si tiene il contrario, e che il sole la elevi dalli luoghi proprii di quella regione, io mi affaticherò a mostrare come ciò esser possa, e che non possa esser ad altro tempo che quando il sole corre tutto Cancro e parte di Leone.

Ma prima diremo ch’alla generazione delle pioggie ci bisognano molte cause per ordine, le quali concorrendo si fanno le pioggie, ma mancando o tutte o alcuna non si fanno. Prima ci bisogna la materia onde li vapori si possano fare, la quale è l’umido o de’ mari e stagni e fiumi, o le parti della terra umide; poi ci bisogna lo agente che elevi da quello umore vapori assai, il che si fa introducendo in quell’umore tanto di caldo che sia sufficiente ad elevarlo, per il che il sole massimamente lo suol fare. Poi bisogna che li vapori elevati si unischino in certo luogo nell’aere e congreghino insieme, e faccino quel corpo stesso per l’aere che chiamano nube, la qual unione e consistenza parte fassi per la natura delle cose simili che concorrono in uno l’una con l’altra per la simpatia, parte fassi per l’antiparistasi del loco, la quale communamente è dove finisce la reflession de’ raggi del sole, ove è fredezza assai, e massime se ci sono monti, i quali infreddano molto, e perché la reflession de’ raggi non perviene alle sommità loro, e perché hanno della terra assai, che parte è fredda e non è scaldata come li luoghi piani, dalla qual antiparistasi si fa la consistenza e unione de predetti vapori. Oltre ciò ci bisogna che ‘l vapore da novo si riduca alla natura dell’acqua, il che si fa perdendo la calidità che prima era introdutta e ricevendo nova freddezza, la qual si fa o dal luogo detto ove finisce la reflession de’ raggi, e massime partendosi il sole, che pur con la presenza mantiene la calidità nel vapore, o dalle parti di essa nube che sono fredde. Ultimamente, uniti li vapori e ridotti alla natura propria e fatti acqua, che per sé è grave, descendono e fassi pioggia.

[8]

Come se ingeneri la pioggia, e come si facciano le pioggie quando poche, quando mediocri e quando grandissime; e quando il sol più s’avicina al tropico, il sol si fa continuamente più lungo.

Quando adunque questo ordine di cause concorre convenientemente, se la materia è poca fassi poca pioggia, se è mediocre fassi pioggia mediocre, ma se è molta, e l’attrazion molta, e li luoghi degli antiparistasi molto atti, allora si fan pioggie grandissime e diluvii, se accade che le cause possino durare. Ma se alcuna di queste cagioni per fortuna manca, manca anco la generazion della pioggia, il che o in certi luoghi o a certi tempi accade. Alcuna volta manca la materia per sé, come in molte parti della Libia, che sono arsiccie e sabulose; alcuna volta è consonta dal sole, come la state appresso noi; per il qual mancamento non fa attrazione ed elevazion de vapori. Alcune volte il difetto non è per la materia, ma è dallo agente, che è debole, come quando il sole è lontano e fa li raggi che fuggono e non si reflettono, e non è potente ad elevar il vapore, che è congelato dalla freddezza del luogo, come il verno appresso noi, e più alli più settentrionali, ove non piove se li nuvoli non son portati d’altronde. Alcune volte il vapore si eleva, ma non si unisce né si fa consistenza, il che fa o il calore eccessivo che li disolve o venti che li dispergono. Alcune volte sono elevati li vapori e consistono e sono uniti e sono in region debita, ma non si fan pioggia perché l’antiparistasi non è proporzionata a far pioggia, ma fa o neve o tempesta o vento.

È adunque da vedere se nella Etiopia e nell’Egitto superiore siano queste condizioni e ordini di cause, che senza necessità di esser portata la materia dalle etesie, si possono far pioggie e piccole e mediocri e grandi e lunghe, per le disposizioni della regione e del sole. E a me pare di sì, supponendo, come è detto, che nella Etiopia ed Egitto superiore siano catene di grandissimi monti, siano anco fiumi larghissimi, come il Nilo e altri, e appresso sia gran tratto di mari, il sino Arabico e l’Oceano. Dico adunque che prima, a far quelle pioggie che di giorno in giorno si fanno, ove il sole si trova perpendiculare e diritto, non è dubbio che non ci sia materia sufficiente per li vapori che s’hanno ad elevare, e ancora lo agente che li possa elevare, cioè il sole. Puossi ancor fare unione di quelli e consistenza dal luogo ove finisce la reflession de’ raggi, massime ove sono monti assai, i quali sì per natura loro, che è fredda essendo terra, sì perché massimamente alle sommità loro non arriva la reflession de’ raggi, resistono al sole, che non dissolva la consistenza de’ vapori, e con l’antiparistasi parte gli uniscono, parte di novo li raffreddano e convertono alla natura di acqua e fan pioggia, il che di giorno in giorno si fa. La qual pioggia non è già quella che faccia il crescimento del Nilo, percioché quella, descendendo al piano, prima che arrivi al fiume si absorbe dalla terra, che è assai secca per sé e scaldata dal sole. Secundo dico che non solamente questa pioggia quotidiana mediocre o poca possi fare, ma etiam quella grande e lunga che li Etiopi dimandano verno, ed è diluvio d’acqua, ma tale non possi già fare ad ogni tempo e ogni luogo ove si trova il sole, ma solamente quando egli si trova nel solstizio per tutto Cancro e parte di Leone. Il che come si possa fare, così dichiararemo, supponendo che li paralleli che fa di dì in dì il sole, così partendosi dall’equinoziale per andar al tropico come partendosi dal tropico per ritornare all’equinoziale, sono continuamente più e più larghi e distanti l’un dall’altro quanto son più vicini all’equinoziale, e sono continuamente tanto più e più stretti e men distanti l’un dall’altro quanto son più vicini al tropico, supponendo ancora ch’il giorno si fa continuamente più longo quanto il sole più s’avicina al tropico.

[9]

Quando e in che modo far si possino pioggie grandissime.

Cominciando adunque dal tempo che il sole si trova nell’equinoziale, e anche per tutto Ariete, dico che ovunque si fa perpendiculare può far pioggia, come è detto, di giorno in giorno, ma tal pioggia non è diluvio, né tale che possa far augumento nel Nilo, percioché il sole, di giorno in giorno facendo li paralleli larghi e assai distanti l’un dall’altro, poco dimora in un luogo e non può fare quella tanta attrazione di vapori che si ricerca al diluvio, ma solo a pioggia leve e poca, che poi si absorbe dalla terra. Alla qual cosa concorre etiam la brevità del giorno, talmente che non dimora molto di luogo in luogo, sì per li paralleli larghi, sì perché il giorno è breve. Similmente si farà anche per tutto Tauro, per la istessa cagione delli paralleli larghi e del giorno breve, avvenga che nel Tauro qualche poco siano stretti li paralleli, il giorno più longhetto che nell’equinoziale; ma nondimeno l’uno e l’altro non è ancora sufficiente a far pioggie che augumenti il Nilo, ma quando avviene che il sole stia più e più giorni e più ore del giorno sopra una medesima parte, dico che solamente a quel tempo si pon far pioggie grandissime e lunghe. La causa è che solamente allora si fa attrazione grandissima e lunga di vapori, percioché la calidità che gli attrae si fa molto più profonda nella terra e mare, e non solamente più profonda ma etiam più larga e a più spazio che non fa quando poco dimora sopra una parte, ove fa attrazione superficiale e ristretta. Pervenendo adunque il sole al solstizio per tutto Cancro e parte di Leone, ove il giorno è più lungo e li paralelli più stretti che in Ariete e Tauro, e la dimora sopra li medesimi luoghi quasi continua, avviene che l’attrazione de’ vapori si fa grandissima e larga e profonda, e conseguentemente pioggie grandissime e lunghe.

Ma qui nascono li predetti dubbi, e prima come possa esser tanta e così abondante materia per tanto tempo in quella regione così arida per sé, ma più in quel tempo che da così lunga calidità è abbruciata, avendo il sole così diretto e propinquo, conciosiaché a noi in quaranta e 50 gradi la state così si secca la terra che materia non c’è per pioggia. Al qual dubio dico che nella Etiopia, nelli luoghi onde si elevano li vapori, in alcune parti la materia è indeficiente, e non solamente indeficiente, ma l’un giorno prepara all’altro più e più materia, crescendo la calidità di dì in dì, come sono li mari, massime il sino Arabico, sopra il quale passando il sole per molti giorni quasi per un medesimo paralello, di dì in dì moltiplica più e più vapori, perciò che ‘l giorno d’oggi dispone per dimane, e dimane per l’altro, e quello per l’altro, talmente che più materia si ha di giorno in giorno.

[10]

Che due umiditati si debbono considerar nella terra, le quali il sole attrae quando il sol scorre Gemini e si prepara abondantissima materia de vapori. La causa perché nella Etiopia accresce ogni dì più materia di pioggie per certo tempo, il che appresso di noi far non si può la state nei luoghi piani.

Quanto veramente appartiene alla terra, dico che in essa son da esser considerate due umiditati, una superficiale, l’altra profonda: quanto alla superficiale, basta poca dimora del sole sopra un medesimo luogo ad elevar li vapori, e di questa fansi le pioggie che ogni giorno si sogliono fare ovunque sia il sole perpendiculare; ma quanto alla profonda, che è quella che in gran parte è fatta dalle acque absorpte dalla terra per le pioggie quotidiane, ci bisogna molto più longa dimora del sole, tale che anche per causa della terra non manca materia per li vapori quando la profonda si estrae, massimamente nelli luoghi montuosi, ove sono e selve e ombre assai e fonti, che il sole non può tanto come nelli piani. Ma generalmente dico che, quando il sole comincia a scorrer Gemini, materia abondantissima si fa, e l’un giorno dispone per l’altro, tal che il seguente sempre s’avanza dal precedente di materia e vapori, percioché, faccendosi ogni giorno le pioggie quotidiane che abbiamo detto farsi ove il sole è perpendiculare, ed essendo in Gemini il sole perpendiculare sopra un medesimo luogo, ivi si fanno le dette pioggie, le quali, absorte dalla terra, per un circulo descendono e ascendono attratte dal sole. Ma di giorno in giorno più è quel che si attrae che quel che discese il giorno inanzi, per elevarsi etiam la umidità profonda e aggiugnerseli quella che da mari e fiumi e monti si leva, e così un giorno dispone per l’altro: per queste cagioni dunque non manca materia per molti giorni, anzi accresce per certo tempo ogni dì più. Il che appresso noi la state non si può fare nelli luoghi piani, peroché, consumata la umidità superficiale, causa non c’è che la rinovi di dì in dì, né che ne abbia fatta di profonda, onde quelli pochi vapori che si levano insieme si dissolvono. Pur ne’ luoghi montuosi si fan delle pioggie, perché non son così essiccati dal sole, e contra operano che li vapori non si dissolvono: e così sia satisfatto al primo dubbio.

[11]

La causa perché il sole, essendo così diretto, non dissolve nella Etiopia li vapori che si elevano e non proibisce la consistenza loro; e per che cagioni non si fanno quelle grandissime pioggie in Gemini che in Cancro, essendo quelli istessi paralelli in l’uno che in lo altro. Quando noi sentiamo il verno, e come se introduce a noi la state. Che dopo il solstizio e per tutto Cancro e parte del Lione si fa crescimento del Nilo.

All’altro veramente cercava per che causa il sole, essendo così diretto, non dissolve nella Etiopia li vapori che si levano e non proibisce la consistenza loro. Dico che ciò fa il luogo ove finisce la reflession de raggi, massimamente ove sono monti molti e grandi, percioché ivi è freddezza assai, per il che li vapori non si risolvono, anzi occorrendo alla antiparistasi si uniscono e raffreddano e riducono alla natura propria di acqua, e così piovono. Ma a quello che tanto travaglio dà e a voi e a molti altri, perché sia che in Gemini essendo gl’istessi paralelli che in Cancro, lo istesso rispetto alla terra e viaggio del sole, non si fanno quelle grandissime pioggie in Gemini che in Cancro, e non comincia il crescer del Nilo se non circa il solstizio, io dico che tutte le grandi azioni hanno le lor preparazioni e lor tempi ne’ quai si fanno, e ad introdurre certa forma e grado di qualità, bisogna rimover le disposizioni contrarie e introdurre quelle che fanno per la qualità che si ricerca. Di qui nasce che sarà uno agente e che per due ore farà azione in certa materia, e sarà sempre quel medesimo con li medesimi rispetti, e nondimeno nella prima ora non produrrà la qualità destinata, ma solamente nella seconda, non per altro se non che tutta la prima ora consumò in rimover le disposizioni contrarie e introdurre le appropriate.

Per questa cagione, per molto che ‘l sole sia nella medesima distanza da noi del Sagittario che è per tutto Capricorno, nondimeno noi mai non sentimo verno né freddo notabile se non per Capricorno e doppo il solstizio iemale. La cagione è che per tutto Sagittario, anzi per tutta la quarta, de Libra fino a Capricorno, consuma tutto quel tempo a rimover la calidità indutta nella terra per la state passata, la qual si rimove per l’absenza del sole dalle parti della terra fredda; poi, quella rimossa, procedendo pur la freddezza, si viene a tal grado che è molto notabile, e allora sentimo il verno, il che fassi doppo il solstizio. Né obsta alla intensione della freddezza che ‘l sole cominci a vicinarsi a noi, percioché tanto poco è quello che può far di calidità che la freddezza di lungi non vinca. Per consimile cagione non sentimo parimente la state in Gemini, ma solo dopo il solstizio in Cancro, per molto che sia lo istesso rispetto del sole alla terra in Gemini che in Cancro, perciò che in Gemini, anzi per tutta la quarta di Ariete a Cancro, il sole consuma tutto quello tempo in rimover la freddezza indotta per lo verno passato, la qual rimossa e introdotta certa calidità, induce finalmente tal grado che a noi è molto sensibile, che chiamiamo state, che si fa doppo il solstizio. E per molto che il sole dopo il solstizio cominci a lontanarsi da noi, nondimeno tanto debole azione è questa che la calidità di lungo vince e si augmenta, fin tanto che la lontananza del sole tanto può quanto il caldo, e fassi caldo mediocre. Poi, superando la lontananza, comincia alquanto il freddo, il qual cresce fino a Capricorno, ma non sì che ancora ci paia verno.

Dunque nel proposito nostro dovemo parimente dire che per la istessa cagione in Gemini non si fanno le pioggie nella Etiopia che si possano dire diluvii e che possano far crescer il Nilo, ma solamente doppo il solstizio, per tutto Cancro e parte di Leone, perciò che tutto il tempo che ‘l sole scorre Gemini si consuma parte in rimover le disposizioni contrarie all’attrazione grande de’ vapori, parte in far la preparazione conveniente al poter far attrazione grande e larga. Si dee dunque considerare che nella Etiopia e nell’Egitto superiore, quando il sole è nella maggior lontananza che esser possa, cioè nel tropico iemale, nelle parti onde s’hanno ad elevar li vapori, mari, monti, fiumi e piani, è indutta certa frigidità che, quantunque non sia tanta quanta è appresso noi, è però tanta che bisogna che sia rimossa se si deve far vapore che possa elevarsi, massime quella che è ne’ mari e fiumi e monti. Oltra ciò si deve anche considerare che, se si deve fare levazione de vapori grande e larga, ci bisogna calidità anche grande e larga, e che possa penetrare alle parti più profonde e a più spazio. E quando accade che tale calidità sia mandata dal sole, allora fassi che un giorno prepara all’altro e fa tal disposizione, che poi si può fare attrazione di vapori grandissima.

[12]

Come la disposizione delle attrazioni si fa in Gemini e l’effetto in Cancro. Il Nilo e il fiume Niger come crescono; quando cominci lo augmento de’ fiumi, e quando lo stato, e quando la declinazione.

Venendo dunque al particolare, quando il sol perviene a Gemini, ove li paralleli sono molto stretti e il giorno è alquanto più lungo, e che ‘l sole dimora molto sopra un medesimo luogo, dico che allora comincia il tempo che un giorno prepara all’altro e dispone la materia che si possa far attrazione grandissima. Ma di tale attrazione la disposizione si fa in Gemini, lo effetto si fa in Cancro, percioché in Gemini da principio si rimove la freddezza indutta dal verno passato (dico verno la massima lontananza del sole, non quel verno che è accidentale per le pioggie, che gli Etiopi chiamano verno), la qual freddezza essendo parte superficiale, parte profonda, quanto alla superficiale basta la dimora di un giorno che faccia il sole, e questa rimossa si fa elevazione che basta alle pioggie quotidiane, ma piccole; ma quanto alla profonda ci bisognano più e più giorni, e così l’un giorno prepara e dispone all’altro, onde anche fassi che le pioggie quotidiane vanno augumentando e fansi maggiori, ma non sì che ogni giorno non siano però absorte dalla terra, e ciò fassi per tutto Gemini. Ma come si viene al Cancro, ove già per lunga dimoranza la calidità profondamente è indutta e fatta preparazione, che già infinite parti nel mare, nella terra e ne’ monti sono vapori in potenzia prossima, allora per ispazio grande, così in latitudine come in profondità, fassi incredibile attrazion de vapori, etiam la notte, li quali, congregati circa li monti, dall’antiparistasi loro si riducono in pioggie quasi continue e grandissime, le quali, discendendo al piano già imbibito dalle pioggie quotidiane, non si absorbono dalla terra ma, precipitando alli fiumi, gli accrescono tanto che poi allagano la regione: e così fa il Nilo, così fa il fiume Niger. Questo crescimento adunque non si fa in Gemini per la cagion detta, che in quello si fa solamente la disposizione; ma fassi per tutto Cancro e parte di Leone, fin a tanto che il sole comincia a far li paralleli larghi, il giorno men lungo, ove la dimoranza non è tanta e la calidità si sminuisce, e già le parti fredde dell’acque e della terra cominciano a ridursi alla natura propria.

L’augmento adunque de’ fiumi comincia quando più è l’acqua che entra che non è quella che si depone al mare, il quale augumento va crescendo fino a certo grado, che è il sommo, il che è da credere che sia circa li XX gradi di Cancro. Poi quel sommo grado va a poco a poco calando, per modo che più sia l’acqua che entra che quella che si depone; poi viensi ad uno stato nel qual tanto è quella che entra quanto quella che esce, il fiume né cala né cresce, ma sta in una linea: e ciò si dee credere che sia circa la ottava di Leone. Poi comincia a farsi il decrescimento, e meno esser quel che intra che quel che esce: il fiume si ritira dalla linea predetta verso le rive, ma a poco a poco, perciò che a poco a poco fassi quello eccesso di quel che esce sopra quello che entra, e così a poco a poco calando nella Libra è tutto ridutto il Nilo nel suo alveo.

Queste sono le ragioni che a me sono occorse circa al crescimento del Nilo, e circa li dubbi che ci accascano, e circa l’oppenioni che si ponno avere, delle quali la più ragionevole a me pare quella che dice le pioggie che si fanno nella Etiopia e nell’Egitto superiore esser cagione di tal crescimento, le quali pioggie non sono fatte perciò che le etesie li portano le nuvole, ma sono fatte per immense attrazioni de vapori che fa il sole nel Cancro e parte di Leone al modo detto. Dal che seguiria che questo crescimento cominciasse nella Etiopia e nell’Egitto superiore a quella vicino, nella qual cosa può nascer un dubbio, se ad un medesimo tempo si vede il cominciar di tal crescimento in Etiopia e al Cairo: e pare che sì, perciò che tutti scrivono che dove è il Cairo comincia a crescer il Nilo nel solstizio, nel qual tempo etiam per le relazioni si ha che cominciano li diluvii di pioggie nella Etiopia. La qual cosa se diciamo, pare molto dubbia, percioché dalla Etiopia al Caiero sono miglia circa 600, le qual, prima che l’acqua cominci a gonfiar nella Etiopia possa scorrer, pare che molti giorni ci bisognino. Al che si può dire che otto o dieci giorni prima o dopo non importa, perché puntualmente non si sa quando comincia il crescimento in Etiopia e quando al Caiero, over diciamo che il crescimento del Nilo a duo modi si può conoscere. L’uno è per l’acqua che entra, che non potendosi deporre tanto quanto entra fa crescer il fiume, e a questo modo alquanto prima si vede il crescimento nella Etiopia che al Caiero. All’altro modo si può conoscere il crescimento per la condensazion delle parti che fa l’una dopo l’altra di mano in mano, il che quasi subito e in brevissimo tempo si fa in tutto il fiume, come vediamo anche nell’altre acque, buttato un sasso o altro che spinga le parti, farsi le circulazioni l’una dopo l’altra quasi in un momento: e a questo modo può esser che, come la prima acqua sgonfia il Nilo nella Etiopia, quantunque la istessa non si veda al Caiero, nondimeno si vede la condensazione delle parti fatta l’una dopo l’altra subito etiam al Caiero. Il che è primo segno del crescer suo, che poi si fa manifesto quando l’acqua istessa che prima cominciò a gonfiare discende al Caiero: il qual tempo in quanti giorno si faccia difficile è da sapere.

[13]

Che nella Etiopia si fanno anco tempeste; come si generino le pioggie, nevi, tempeste; come si faccia la pioggia e tempesta insieme; come si generi la neve; che cosa sia ghiaccio, e le cose che si possono far ghiaccio; come si faccia la neve e come la tempesta, e la causa che una istessa nube pioverà e nevicherà, e il simile della tempesta.

Ora resta da esequire anche quello che abbiamo promesso, se nella Etiopia si facciano nevi, il che non sapendo noi per esperienza o nostra o d’altri, ne diremo quanto parerà probabile per le ragioni. E pare che lì ci siano nevi, perciò che ivi non solo si fanno pioggie, ma si fanno anche tempeste: essendo adunque la pioggia fatta da men freddezza che la neve, e la tempesta di più freddezza, pare che ove si fanno gli estremi si debbia anche far il mezo. Il che si può confermare per l’esempio del monte Atlante, che è vicino al tropico per gradi cinque, nel quale, come Plinio scrive, sono nevi etiam la state, per il che pare che e nelli monti libici, che sono nel medesimo parallelo, e nelli etiopici, che son vicini a questi per dieci o poco più gradi, si possano far nevi. All’incontro pare che non ci possono esser nevi, perché la maggior distanzia che possa aver il sole dall’Etiopia non è più di gradi quaranta: ma noi veggiamo che, a noi essendo il sole vicino per quaranta e cinquanta gradi, non solo non patisce farsi nevi, ma le fatte dissolve e liquefa. Oltra ciò non è da credere che nella Etiopia a tutti li tempi sia men caldo che quello che è appresso noi la state, che siamo distanti 45 e cinquanta gradi. Essendo adunque così, che appresso noi la state non si ponno far nevi, è da credere che meno si possano fare appresso gli Etiopi.

Per migliore intelligenzia adunque di questa materia, bisogna vedere le cause che concorrono a far pioggie solamente e a far neve solamente e a far tempesta solamente, e poi se ponno farsi insieme, dico pioggie e neve, e pioggia e tempesta, e neve e tempesta: per la qual cosa dico che in alcune cose convengono tutte queste tre, pioggia, neve e tempesta, in alcuna differiscono. Convengono veramente nella materia, cioè che tutte si fanno di vapore, che prima fatto caldo dal sole si eleva a certo luogo, poi raffreddato da agente freddo si fa grave e di natura d’acqua; ma è differenza nel modo della freddezza, percioché a far pioggia basta men freddezza, quella tanta che è assai a levar la calidità indutta dal sole, che nondimeno né congela né agghiaccia, ma fa solo predominio di acqua, ma a far neve ci bisogna più freddezza, e più a far grandine. Convengono ancora la pioggia e la tempesta insieme, che l’una e l’altra si fa di vapori prima uniti, tanto che ponno far goccia e già son fatti acqua, ma differiscono poi che la pioggia discende in natura e forma di acqua, ma la tempesta, innanzi che descenda l’acqua di che si fa, si agghiaccia, e non discende di natura d’acqua over di forma, ma di goccia agghiacciata. E differiscono poi queste due dalla neve, e che li vapori di che si fa la neve non si uniscono di modo che possa far goccia e acqua, ma innanzi che si uniscano nella nube si congelano così divisi e sparsi come si trovano, tal che sempre tra l’uno e l’altro c’è aere interposto, per il che quando discendono fanno quel corpo raro e spongoso che chiamano fiocco, che non è altro che corpo raro misto di vapori congelati e di aere; ma la tempesta non ha mistura di aere, percioché è fatta di goccia d’acqua agghiacciata prima che discenda.

Ma degna cosa è da vedere come e per qual cagione queste diversità si facciano nelle nubi, e perché li vapori ora si uniscano e facciano goccie d’acqua, ora no; e perché, fatti goccie d’acqua, ora discendano in forma d’acqua, ora no, ma s’agghiacciano prima; e perché il verno non s’agghiacciano sì che facciano tempesta, ma neve, di state s’agghiacciano e solo faccian tempesta; e perché la pioggia stia con tutti, cioè con la tempesta la state e con la neve il verno, e donde sia che ‘l verno s’agghiaccino i fiumi e le gocciole che cadono da’ tetti, la neve caduta non s’agghiacci mai, se non si liquefa prima. Cominciando adunque da questo ultimo, dico che ghiaccio non è altro che acqua congelata, e per tanto quelli corpi che non son redutti in acqua o natura di acqua non si fanno ghiaccio, ma ben ponno semplicemente congelarsi. Perché adunque la neve non è acqua, ma vapore congelato con intermistione di aere, per questo non si può far ghiaccio, rimanendo in quella natura; ma liquefatta e ridutta in acqua e corpo fluido, espresso l’aere, si fa poi ghiaccio; per il che li fiumi e le gocciole che cadono si sogliono agghiacciare, ma non la neve caduta. E se alcun dubitasse perché adunque la pioggia il verno non si agghiaccia discendendo e non si fa tempesta, se ‘l verno s’agghiaccino li fiumi e le gocciole che cadono da’ tetti o d’altro luogo, dico che quel freddo che il verno s’agghiaccia è freddo secco boreale, ma quando piove comunemente lo aere se intepidisce e le nubi son portate dalli scirocchi, onde né li fiumi né la pioggia si agghiacciano, né tempesta puossi far il verno, ma solo o pioggia o neve. Perciò che l’aere nel verno, quando le nubi si fanno, o si trova per freddo o denso, come quando non regnano li scirocchi, o si trova intepidito, come quando essi scirocchi regnano: se è freddo e denso, li vapori della nube non si ponno unire sì che facciano goccia e pioggia, ma si congelano sparsi nelle nubi e così si fanno neve e fiocco, nel quale è misto sempre aere; ma se lo aere è intepidito, si pon veramente unire e far goccie e pioggia, ma non mai tempesta, percioché a far tempesta bisogna prima esser fatto acqua, la qual prima che descenda si agghiacci da frigidità grandissima, le qual due cose non si ponno far insieme il verno, nel quale, se c’è la frigidità, quella non lassa far l’acqua, per il che solamente la state e nelli tempi medii, quando qualche giorno è simile all’estate, si può far tempesta. E se dimandaste donde puossi aver la state quella tanta freddezza nella nube che agghiacci le goccie dell’acqua, dico che ciò fassi all’antiparistasi del caldo, il qual concentra e unisce le parti fredde nella nube, li quali prima si fanno acqua e goccie, poi subito se agghiacciano: ma di queste antiparistasi è da sapere che, circa le parti della nube, sono duo antiparistasi, l’una dell’aere estrinseco caldo, l’altra dentro della nube, che si fa dalle parti contrarie che sono nella nube, alcune ignee e calidissime, alcune acquee e altre terree, tutte frigidissime. Essendo adunque la natura de’ contrarii scacciar gli altri contrarii e la natura de’ simili unirsi a loro simili, di qui si fanno nelle nubi azioni grandi e maravigliose, tra le quali, che per ora basta, si fa etiam la tempesta, quando accade le parti fredde forte unirsi, massime le acquose e le terree, ove nasce freddezza non minor di quella che il verno agghiacci i fiumi. Alcune volte fassi insieme pioggia e tempesta, e alcune pioggia e neve, e questo accade o per la diversità de’ vapori che son nella nube, o per diversità di luoghi, onde vedemo spesso piover nelli luoghi piani e nevicar alli monti, o farsi tempesta in un luogo e piover in un altro vicino, per esser più e men freddo in un luogo che in l’altro. Alcuna volta nell’istessa nube pioverà e nevicherà, perché alcuni vapori sono men freddi e non sono atti a coagularsi, alcuni sì; il simile si fa con la tempesta, quando insieme piove, per la diversità delle parti e vapori nel caldo e freddo. Ma se per questa diversità di caldo e freddo in diversi o luoghi o vapori si possano far insieme nevi e tempesta è molto dubbio, ma verisimilmente si può tenere prima che in una istessa nube non possan farsi insieme tempesta e neve, quantunque sieno diversi vapori, perciò che, se si dee far tempesta, bisogna, come è detto, che prima si facciano goccie e acqua che poi s’agghiacci, il che se si dee fare, bisogna ci sia la union de’ vapori in goccia, e questo non può esser ove si fa neve, per il che non può esser che in una istessa nube si facciano neve e tempesta. Dico anco che in diversi luoghi, ma vicini, come in piano e monte, non può farsi in uno neve in l’altro tempesta, perché se nel piano si fa neve bisogna che sia verno, come è detto: adunque nel monte non può essere state a quel tempo. Similmente, se nel piano si farà tempesta e sarà state, nel monte non potrà farsi neve ed esser verno, eccetto se non fosse tanto alto che l’altezza supplisse alla stagione: e in questo caso non repugneria esserci neve.

[14]

Se appresso gli Etiopi si fa neve o verno, e come appresso di loro il giorno non è più di ore 12 e mezza.

Dichiarate queste cose quanto basta al proposito nostro, vediamo se nella Etiopia si ponno far nevi e tempeste, perché della pioggia non è dubbio, sì per la esperienza che si vede, sì perché è detto che la pioggia sta con tutti i tempi, e con neve e con tempesta. Della tempesta anco non deve esser dubbio, però che ivi sono li tempi proporzionati alla state e alli tempi medii appresso noi. Se adunque appresso noi la state e gli altri tempi medii sono atti a far tempesta, manifesto è che anche appresso gli Etiopi si deve fare, massime quando il sole è nel Cancro, ove è, quanto per il sole, state grandissima, e fassi attrazione tanta de vapori: per il che non è meraviglia, sì come si referisce, in quel tempo insieme con le pioggie sono e tuoni e fulgori e tempeste, onde sentono più freddo che ad altro tempo, non altramente quando anco appresso noi tempesta si sente freddo notabile, per molto che sia di state.

Che adunque e pioggia grande e tempeste siano appresso gli Etiopi non si dee dubitare, ma ben si può dubitare delle nevi, perciò che la ragione addutta non vale, che ove si fa tempesta si debbia etiam far neve, conciosiaché molto diversa è la causa che fa la tempesta e che fa la neve. La tempesta vuole l’antiparistasi del caldo estrinseco, la neve vuole l’antiparistasi del freddo, onde non si fa se non il verno. Né segue ove si fanno gli estremi si debbia anco fare il mezzo, se non quando da uno estremo non si può andar all’altro se non per il mezzo. Ma quando gli estremi hanno cause proprie senza che passino per il mezzo, ponno farsi essi estremi senza che il mezzo si faccia in quel luogo, per il che bisogna vedere se altra ragione c’è che possa persuadere se son nevi nella Etiopia. E dico che, se ci sono luoghi ove sia verno tale quale appresso noi, ove l’aere sia freddo ad alcuna stagione come nel nostro verno, ivi poter esser nevi e poter farsi come appresso noi. Il che veramente in luoghi piani esser ad alcun modo non può, per la propinquità del sole in ogni tempo, conciosiaché mai non può esser più distante di gradi trentaotto vel circa, nella qual distanza non può esser verno e consequentemente neve. Ma se nelli monti possa esser tale constituzione che sia verno ad alcun tempo è dubbio assai, e a me pare che non repugni che in alcuni, per l’altezza loro, massime quelli che sono sotto il circolo estivo e li propinqui, si facciano nevi quando il sole è nel Capricorno, percioché, all’altezza di quelli non arrivando la reflession di raggi, per la natura del luogo, può esser freddo equale al verno. E se alcuno dicesse ciò non apparere appresso noi nelli nostri monti, che in equal distanza, anzi in maggiore si facciano nevi e sia freddo equale al verno, quando il sole è nel Cancro, dico che questo può avvenire per la lunghezza del giorno, che è di quindici e sedici ore, il che molto fa a mantenere il caldo e contraoperare alla freddezza e natura del luogo; ma appresso gli Etiopi il giorno non è mai più lungo di ore dodici e mezza vel circa, per il che non è senza probabilità che appresso gli Etiopi si possano far nevi quando il sole è nel Capricorno. Ma se si possano fare nel tempo che si fanno le pioggie grandi e tempeste, quando il sole è nel Cancro, è da dire che non, perciò che, come è detto di sopra, in una istessa nube non si può far tempesta e neve, se forse la sommità di qualche monte non fusse alta, che alle spalle del monte si facessero le tempeste, al sommo le nevi, il che anco non è da credere, perché le nubi non si fanno in tanta altezza.

Concludendo adunque è da dire che quanto persuade la ragione è da credere che ad ogni modo si facciano nevi in Etiopia ne’ monti, ma quelle niente fanno all’accrescimento del Nilo, perché molto prima son liquefatte che il sole pervenga al Cancro. Quanto mo’ al testimonio dello Atlante, ove la state si vede della neve, questo è niente, percioché esser può che tal neve sia nella faccia che guarda il settentrione, in qualche parte ombrosa ove il sole non percuote, per esser sempre australe a quella faccia: il che vediamo anche noi nelli nostri monti, ove la state sempre si trova neve in qualche parte, il che sanno li signori, i quali se ne servono per rinfrescar li lor vini. E tanto sia detto del crescimento del Nilo e della Etiopia.