Una copia della Monna Lisa in esposizione a Firenze

La Isleworth Monna Lisa (ribattezzata la Giovane Monna Lisa) viene esposta a Firenze, per la prima volta in Europa, uscendo fuori dal caveau svizzero, in cui viene solitamente custodita. La mostra fiorentina andrà dal 10 giugno al 30 luglio 2019 ed è stata allestita nella sala delle Feste di Palazzo Bastogi.

Questo è indubbiamene un bel colpo per questa fondazione basata in Svizzera ‘The Mona Lisa Foundation’ che da più di un decennio la promuove in maniera assai aggressiva e senza risparmio di denaro.
Ricordo di aver trovato un ponderoso volume da loro stampato nell’ufficio del Console d’Italia a Hong Kong, nel 2015, mentre il quadro stava in mostra a Singapore, e stavano tentando di organizzarne una anche a Hong Kong, anche se poi non la fecero.

Un articolo sulla Nazione di Firenze dice: “Per il pool di esperti della fondazione non ci sono dubbi: questa opera, rimasta incompiuta, ritrae una giovane Lisa Gherardini seduta tra due colonne, e fu commissionata a Leonardo tra il 1503 e il 1506 – dunque circa dieci anni prima della Gioconda esposta al Louvre – su commissione di Francesco del Giocondo, consorte di Lisa.”

In realtà si è sempre detto che questo ordine, assai dubbio, dato dallo strozzino e mercante, Francesco del Giocondo, fu per la Gioconda, che oggi si trova al Louvre. Esiste un’ipotesi che sposterebbe il quadro del Louvre al 1511 (il soggetto sarebbe Pacifica Brandani, e tale notevole idea è di Carlo Pedretti e fu poi sviluppata da Roberto Zapperi) oppure risalirebbe al 1478 (il soggetto sarebbe Fioretta Gorini e questa è una mia ipotesi).

Ricordiamo per inciso che Leonardo, proprio in quegli anni, rifiutò di dipingere un ritratto di Isabella D’Este che lo perseguitava con lusinghe e minacce, e arrivò a scrivergli che poteva stabilire la cifra necessaria. Dunque, Leonardo avrebbe alzato il pennello per la moglie di un mercante e rifiutato le richieste d’una principessa?

Il dipinto fu scoperto nella casa di un aristocratico, nel 1913, dal collezionista Hugh Blaker, che lo acquistò per collocarlo nel suo studio a Isleworth, a sud-ovest di Londra .
Spedito poi negli Stati Uniti nel corso della Prima guerra mondiale , fu acquistato nel 1960 da un conoscitore d’arte americano,  Henry Pulitzer . Il consorzio lo acquistò nel 2003 dagli eredi di Elizabeth Meyer, vedova del Pulitzer.

È chiaro che la posta in gioco è altissima, sia sotto il profilo artistico che nell’ambito più prettamente economico. L’opera – che oggi, senza attribuzione certa, potrebbe valere tra i centomila e i 200mila euro – non solo entrerebbe nel catalogo leonardesco, ma raggiungerebbe un valore enorme.

“Nessuna prova scientifica è stata finora in grado di dimostrare definitivamente che questo non è un Leonardo Da Vinci”, ha affermato il socio fondatore dell’ente privato svizzero e storico dell’arte, Stanley Feldman. Dimentica però di dire che il difficile è dimostrare che si tratta di un Leonardo, e non che non è un Leonardo.

La mia impressione è che si tratti d’una copia, forse realizzata da uno dei discepoli di Leonardo, come il Melzi o Marco d’Oggiono. E i motivi son presto detti: il formato di questo quadro è troppo grande per la moglie di un mercante; il paesaggio è estremamente primitivo e mal eseguito e, soprattutto, è su tela, una cosa che mai Leonardo fece. Dipinse solo su legno di pioppo o di noce.

 

Leonardo Da Vinci svela l’identità della Gioconda

 

Si sono versati fiumi d’inchiostro per cercare di stabilire chi davvero sia e rappresenti il quadro noto come la Gioconda (o Monna Lisa) massimo tesoro del Louvre di Parigi. Possiamo oggi rivelare la soluzione di questo secolare enigma. E come possiamo essere così certi della nostra tesi? Semplice, ce lo dice lo stesso Leonardo da Vinci, pur essendo morto cinque secoli or sono, il 2 maggio 1519, ad Amboise in Francia.
Il chierico molfettano Antonio de Beatis tenne un diario durante il suo grande tour europeo, iniziato il 9 maggio 1517, in compagnia del proprio superiore, il cardinale Luigi d’Aragona, un bastardo di sangue reale. I due rientrarono a Roma nel gennaio 1518 dopo avere incontrato teste coronate e artisti in mezza Europa. Nel 1873 il diario di De Beatis stava ancora dimenticato su di uno scaffale della biblioteca Vittorio Emanuele di Napoli, dove fu notato da Ludwig von Pastor (1854-1925) il quale, intuendo la sua grande importanza storica, ne pubblicò una prima edizione critica nel 1905, facendo una collazione dei manoscritti originali. In quest’opera troviamo, meraviglia fra le meraviglie, il rapporto dell’incontro dei due pellegrini con Leonardo Da Vinci, ad Amboise.
Era il 10 ottobre 1517 e i due viaggiatori sedettero con Leonardo Da Vinci, dentro al suo studio, e diligentemente il De Beatis annotò le parole pronunciate da Messer Lunardo Vinci fiorentino… pictore in la età nostra eccellent.mo” il quale disse quanto segue al cardinal d’Aragona, circa i tre quadri che vedevano appesi:

“…mostrò a s. Ill.ma tre quatri, uno di certa dona fiorentina facta di naturale ad istanza del quondam ma.co Jiuliano de Medici. L’altro di San Joane Giovanni Bat.ta giouane et uno de la Madona et del Figliolo che stan posti in grembo di S.ta Anna tucti perfettissimi, e ben vero che da lui per esserli uenuta certa paralisi dextra, non se ne può expectare più cosa buona. Ha ben facto un creato Milanese che lavora assai bene, et benché il p.to M. Lunardo non possa colorir con quella dolceza che solea, pur serve ad far disegni et insegnare ad altri. Questo gentil’omo ha composta de notomia tanto particularmente con la demostrazione de la pictura sí de membri come de muscoli, nervi, vene, giunture, d’intestini tanto di corpi de homini come de done, de modo non è mai facta anchora da altra persona. Il che abbiamo visto oculatamente et già lui ne dixe haver facta notomia de più de XXX corpi tra masculi et femine de ogni età. Ha anche composto la natura de l’acque, le diverse machine et altre cose, secondo ha riferito lui, infinità di volumi et tucti in lingua volgare, quali se vengono in luce saranno proficui et molto dilettevoli.”

La donna fiorentina alla quale accenna è certamente il dipinto da noi oggi conosciuto come la Gioconda. E tutti i critici, fin qui, in quel “quondam magnifico Giuliano” hanno visto il suo defunto patrono, Giuliano de’ Medici, Duca di Nemour, ultimo figlio di Lorenzo il Magnifico. Ma costui aveva passato quasi tutta la propria esistenza fuori di Firenze, non conosceva Monna Lisa del Giocondo né altre dame fiorentine. Nessuno prima aveva pensato che quella di Leonardo fosse un’allusione a suo zio, quel Giuliano de’ Medici morto durante la congiura dei Pazzi nel 1478.
Ma come possiamo essere sicuri che quando Leonardo Da Vinci dice al cardinale d’Aragona e ad Antonio De Beatis che il ritratto che stavano ammirando rappresentava una certa donna fiorentina fatta di naturale, “ad istantia del quondam ma.co Iuliano de Medici” stesse alludendo a Giuliano de’ Medici, Duca di Nemours? E se invece stesse alludendo a Giuliano de’ Medici, il fratello di Lorenzo de’ Medici? In tal caso la fiorentinità della dama sarebbe rispettata. Questa interpretazione cambierebbe tutti gli scenari a noi conosciuti, aprendone dei nuovi, ancora inesplorati.
Giuliano morì la domenica del 26 aprile 1478, mentre assisteva alla messa nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, trafitto da diciannove colpi di spada inferti da Franceschino Pazzi e da Bernardo di Bandino Baroncelli? Lisa Gherardini del Giocondo e Pacifica Brandani (un’amante urbinate di Giuliano, Duca di Nemours), non erano ancora nate quando Giuliano moriva e, dunque, chi potrebbe mai essere questa donna o per meglio dire la prima modella per questo quadro?

Giuliano de’ Medici, Duca di Nemours

Esattamente un mese dopo l’assassinio di Giuliano, il 26 maggio 1478, nacque un suo figlio naturale, che il giorno successivo fu battezzato con il nome di Giulio de’ Medici, alla presenza di Antonio da Sangallo, un amico del defunto padre, il quale seguiva le istruzioni di Lorenzo de’ Medici. La madre che lo aveva dato alla luce, a causa di complicazioni rese l’anima al Creatore. Il neonato venne subito accolto in famiglia ed educato insieme ai figli di Lorenzo. Nel 1523 Giulio de’ Medici verrà eletto papa con il nome di Clemente VII e il Machiavelli gli dedicherà le sue Istorie Fiorentine.

Giuliano de’ Medici, dipinto da Sandro Botticelli, fratello di Lorenzo il Magnifico

Chi fu la madre di Giulio, che morì nel darlo alla luce? Si dice sia stata la cortigiana Fioretta Gorini (1453-1478), della quale nulla conosciamo. Può essere che quando Giuliano seppe che la sua amante era in dolce attesa chiese al giovane Leonardo di dipingere il suo ritratto? Oppure fu Lorenzo che gli chiese di dipingerla, subito dopo la morte di entrambi i genitori? Quest’ultima parrebbe essere la versione più probabile, poiché utilizzò uno specchio per seguire le proporzioni del proprio viso, come è stato già dimostrato qualche decennio fa da Lillian Schwartz.
Un ulteriore indizio che c’induce a muovere indietro nel tempo l’origine della Gioconda è che fu dipinta su di una tavola di pioppo, mentre i dipinti successivi alla venuta di Leonardo a Milano furono dipinti su legno di noce. Inoltre, il primo paesaggio datato di Leonardo, uno schizzo datato e firmato del 5 agosto 1473, potrebbe essere stato utilizzato per lo sfondo della Gioconda.
La domanda che ci facciamo ora è la seguente: l’epiteto di Magnifico fu usato solo per Lorenzo de’ Medici e per suo figlio, Giuliano, Duca di Nemours, una volta divenuto signore di Firenze, oppure fu forse usato anche per Giuliano, il fratello di Lorenzo? Certamente fu utilizzato anche per il fratello di Lorenzo, tant’è che possediamo “Le Stanze de Messer Angelo Poliziano” cominciate per la giostra del Magnifico Giuliano di Pietro de’ Medici, un poemetto in ottave, rimasto incompiuto e composto da Angelo Poliziano (1454-1494). Fu pubblicato per la prima volta nel 1484 e poi nel 1498 da Aldo Manuzio.
Dunque, Leonardo Da Vinci si riferiva a Giuliano senior e non a suo nipote, Giuliano, Duca di Nemours, parlando ai due visitatori napoletani. Ne consegue che la Gioconda potrebbe essere stata iniziata venticinque anni prima del 1503/4/5, non durante la sua seconda permanenza a Firenze, come tutti credono seguendo la narrazione del Vasari, che pure mai vide la Gioconda.
Il Louvre potrebbe eseguire un test al carbonio per stabilire una più corretta datazione della tavola di legno su cui si trova la Gioconda. Il margine d’errore per questo genere di test è molto ampio ma, forse, analizzando un piccolo frammento ligneo prelevato dal retro della tavola si potrebbero ottenere risultati, certo approssimati, ma per lo meno indicativi sull’anno della effettiva preparazione della tavola e dei colori aventi una base organica. Potremmo così giungere a tre datazioni: se 1478, avremmo Fioretta Gorini; se 1503, Monna Lisa del Giocondo; se 1513, Pacifica Brandani.
Restiamo comunque convinti che la Gioconda — non importa quale fu la modella o la committenza — venne a rappresentare per Leonardo l’immagine onirica della propria madre, Caterina, la schiava di Vinci, come acutamente intuì Sigmund Freud. Leonardo la dipinse a intermittenza durante tutta la sua esistenza, sino alla fine, per mantenerla viva accanto a sé.

Angelo Paratico

 

Angelo Paratico Leonardo Da Vinci. Lo psicotico figlio d’una schiava Gingko Editore, 2019

Costantino d’Orazio riscopre una mia scoperta: le similitudini fra lo sfondo della GIOCONDA e un suo vecchio schizzo

Esistono varie ipotesi sulla cosiddetta Gioconda o Monna Lisa di Leonardo Da Vinci, conservata al Louvre. La mia ipotesi è che progressivamente venne a rappresentare la propria madre, Caterina. Questa è anche l’idea di Sigmund Freud, nel suo celeberrimo saggio, scritto nel 1910, dedicato a un ricordo d’infanzia del grande maestro fiorentino.

Dunque, chi può essere stata questa donna? Certamente non Monna Lisa del Giocondo, e quasi sicuramente la misteriosa Fioretta Gorini, amante di Giuliano de’ Medici, che morì dando alla luce un bimbo pochi mesi dopo la morte del padre, nel 1478, trafitto da colpi di spada durante la congiura dei Pazzi. Tale orfanello diverrà un papa, dopo essere stato accettato nella famiglia Medici. E chi dice questo? “Nientepopodimeno” che Leonardo stesso! (come direbbe Benvenuto Cellini). Lo disse Leonardo al chierico Antonio De Beatis, quando lo incontrò ad Amboise il 10 ottobre 1517.

 

Nel mio libro sul Leonardo Da Vinci descrivo in dettaglio questa mia ipotesi, che costituisce uno sviluppo di quanto già dedotto dallo storico Roberto Zapperi, e rimando alla lettura del mio libro chi è interessato ai dettagli.

Uno degli indizi che paiono suffragare la mia ipotesi è il fatto che lo sfondo della Gioconda ricorda il suo primo paesaggio, descritto come della Valdinievole (si veda qui:  https://www.gingkoedizioni.it/il-celebre-paesaggio-di-leonardo-da-vinci-del-5-agosto-1473-rappresenta-la-valdinievole/ ).

La scorsa settimana anche lo storico d’arte Costantino d’Orazio, in televisione, usando le sue frasi ben tornite e arrotate, ha sottolineato la strana similitudine esistente fra le due opere.

Per meglio provarla, nel 2015 avevo preparato un collage, che avevo fotografato. Poi, non sapendo che farne, decisi di metterlo in cornice e appenderlo nel mio studio, dove ancora serenamente riposa.

 

 

La Gioconda fu rubata o acquistata dai francesi?

Si è spesso discusso del furto della Gioconda da parte dei francesi.

Una cosa mai avvenuta, perché il quadro fu acquistato da re Francesco I, pagandolo una cifra notevole.
I quadri descritti da Antonio De Beatis nello studio di Leonardo e da lui visti il 10 settembre 1517, non appaiono nel suo testamento, di cui si conserva una copia (l’originale è andato perduto a Firenze). Come racconto nel mio libro, Leonardo Da Vinci. Un Intellettuale cinese nel Rinascimento italiano pubblicato dalla Gingko Editore, le ricerche su Leonardo Da Vinci sono “lavori in corso”. E non è uno scherzo, e anche per lui potremmo parafrasare quanto detto di Zhou Enlai quando gli chiesero della Rivoluzione Francese e lui rispose che è ancora troppo presto per giudicare…

Nel 1990 Janice Shell e Graziano Sironi scoprirono nell’archivio di Stato di Milano il testamento del suo allievo prediletto, Gian Giacomo Caprotti da Oreno (Mi) detto il Salaì.

Costui, nel 1518, un anno prima della morte del Maestro, era ritornato a Milano dove si prese moglie ma nel 1523 morì, forse a causa di una lite con dei soldati francesi, che gli tirarono un colpo di balestra o d’archibugio.
La sua eredità fu divisa fra le sorelle e la moglie. Questa si rivelò cospicua: abiti di lusso, pietre preziose, oggetti e una serie di dipinti.
La stima e la descrizione di questi oggetti, in un documento datato 1525, indica una chiara provenienza leonardesca. Troviamo una Leda, una Sant’Anna e un certo dipinto di un “Quadro de una donna aretrata” per la quale nell’interlinea si specifica “dicto la Honda”, linea barrata e poi corretta in “dicto la Joconda”.
Per la prima volta questo curioso nome appare in un documento e la stima posta accanto è altissima: 100 scudi e 555 soldi.

La cifra della stima di 100 scudi “ecus de soleil” equivale a 350 grammi d’oro puro. Per quanto riguarda i 555 soldi, basti notare che il funerale della madre di Leonardo, in pompa magna e con due preti, vino e candele, gli era costato 123 soldi.

Un nuovo documento, datato 1531 (scoperto nel 1998 nell’archivio di Milano), indica che una delle sorelle di Salai, chiamata Lorenzuola, cedette una “Ioconde Figuram” a un tal Ambrogio da Vimercate, ma questa ha un prezzo basso… era sempre la stessa Gioconda o una copia?
L’affare diventa ancora più complesso notando che in Francia nel 1999 è emerso un documento nel quale si dice che il tesoriere reale aveva pagato al Salai ben 2604 lire tornesi, poco prima della sua partenza per Milano, per “qualques tables de peintuire.”

Che significa? La Gioconda era tornata a Milano nel 1518 assieme a Salai, oppure il Salai s’era portato appresso una copia della stessa, forse quella che oggi ammiriamo a Madrid al Prado?

Nel 1518, con 120 lire tornesi si acquistava un moggio di grano (circa 2 quintali) quindi 2604 lire equivalevano a circa 4 tonnellate di grano. A quel tempo il rapporto oro contro argento era ancora di 1 a 10. Dunque la cifra maggiore è quella che risulta pagata in Francia mentre la stima per la Joconda di Milano indica forse un tentativo di truffa finita poi male.

Evidentemente quel Ambrogio da Vimercate sapeva il fatto suo e non c’era cascato!

 

Ecco spiegata la vera identità della Gioconda di Leonardo Da Vinci!

Nell’edizione in italiano del nostro libro su Leonardo Da Vinci e sulle sue possibili radici orientali abbiamo inserito un punto chiave che mancava nell’edizione in inglese. Tale punto riguarda la spinosa questione della datazione e della identità della Gioconda di Leonardo Da Vinci.

Una buona parte della critica ritiene che la Gioconda sia un quadro dipinto negli anni della seconda permanenza di Leonardo a Firenze, ossia nel 1503-4, al termine delle guerre di Cesare Borgia. E, secondo la vulgata, questa misteriosa signora sarebbe Monna Lisa Gherardini del Giocondo, la moglie di un ricco mercante, a dispetto delle dimensioni del quadro (77×53 centimetri) un formato che potremmo definire regale.

Secondo lo storico dell’arte Roberto Zapperi – partendo da un’idea di Carlo Pedretti – questa signora sorridente sarebbe l’immagine funebre Pacifica Brandani, un’amante di Giuliano de’ Medici, Duca di Nemours (1479-1516). Un quadro iniziato a Roma negli anni 1513-1514 e poi lasciato incompiuto. Zapperi presenta questa sua brillante e ben documentata tesi in un bel libro, “Monna Lisa Addio” pubblicato nel 2012.

La nostra nuova ipotesi è che invece il quadro rappresenta Fioretta Gorini, la favorita di Giuliano de’ Medici, cominciato nel 1478, l’anno dell’uccisione di Giuliano de’ Medici, durante la congiura dei Pazzi.

Fioretta Gorini diede alla luce un maschio due mesi dopo l’assassinio di Giuliano, avvenuto il 26 aprile 1478 ma a sua volta morì di parto due mesi dopo. Quel bambino nato fuori dal matrimonio fu accettato dai Medici e battezzato con il nome di Giulio. Divenne in seguito papa Clemente VII (26 maggio 1478 – 25 settembre 1534).

Forse la commessa per il quadro fu affidata a Leonardo da Giuliano de’ Medici, quando seppe che la sua amante era in dolce attesa. Ma subito dopo Leonardo perse sia il committente che la modella.

Un collage da noi eseguito, partendo dal primo disegno datato di Leonardo, del 5 agosto 1473, mostra una sostanziale identità grafica con lo sfondo della Gioconda.

Ecco i motivi sui quali basiamo la nostra idea.
Antonio De Beatis e il Cardinal D’Aragona visitarono Leonardo ad Amboise, in Francia, il 10 ottobre 1517. Gli chiesero chi fosse quella dama e Leonardo rispose che si trattava di una certa

dona fiorentina facta di naturale ad istanza del quondam magnifico Jiuliano de Medici.

Monna Lisa Gherardini, che mai conobbe Giuliano ed era una donna sposata con un mercante, dunque non c’entra nulla. Tutti i critici che hanno letto le parole scritte nel diario di Antonio De Beatis  hanno sempre pensato che si stesse riferendo a Giuliano, Duca di Nemours, ma questo è impossibile, perché egli trascorse la gran parte della propria vita in esilio, fuori di Firenze. Dunque, come poteva chiedere a Leonardo di dipingere una dona fiorentina?

Per tal motivo lo Zapperi segue l’ipotesi del Duca di Nemours come committente ma invece che fiorentina, pensa che la dama fosse urbinate, Pacifica Brandani, che gli diede un figlio ma che a sua volta morì di parto.

Una prima critica alla nostra ipotesi potrebbe essere questa: l’epiteto di il Magnifico fu usato solo per Lorenzo de’ Medici e poi per suo figlio, Giuliano, Duca di Nemours, una volta diventato signore di Firenze.
Ebbene, siamo certi che anche per il fratello di Lorenzo, Giuliano, ebbe tale epiteto. Possediamo infatti  Le Stanze de Messer Angelo Poliziano composte per la giostra del Magnifico Giuliano di Pietro de’ Medici un poemetto in ottave rima, rimasto incompiuto. Fu pubblicato per la prima volta nel 1484 e poi nel 1498 da Aldo Manuzio, a Venezia. Dunque il titolo di il Magnifico fu usato anche per Giuliano senior.

Un ulteriore indizio che c’induce a muovere indietro nel tempo l’origine della Gioconda è il fatto che fu dipinta su una tavola di pioppo, come tutti i primi quadri di Leonardo, mentre quelli successivi alla sua venuta a Milano del 1482 furono eseguiti su tavole di legno di noce, più duro, più robusto e meno soggetto a fessurazioni.
Altro indizio è il fatto che lo scienziato Pascal Cotte ha scoperto – usando sofisticatissime apparecchiature capaci di vedere cosa sta sotto a un dipinto usando la diffrazione della luce – vari pentimenti nella figura della donna, ma non nel paesaggio.

Riassumiamo i nostri punti. Possiamo affermare che il quadro conservato al Louvre, noto come la Gioconda fu iniziato a Firenze nel 1478 e poi ritoccato di volta in volta negli anni seguenti e, alla fine, fu lasciato incompiuto. Fioretta Gorini è la donna rappresentata idealmente e il quadro fu dipinto senza la modella davanti o una sua immagine da seguire. Per questo motivo si tratta di una rappresentazione fantastica e immaginaria d’una madre morta.

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Leonardo Da Vinci, Agnolo Firenzuola e il sorriso della Gioconda

Nel mio libro su Leonardo Da Vinci – pubblicato da Ginko Editore nel 2017 – accenno a una lieve curvatura del labbro sinistro della Gioconda – già notata nel 1896 da Robert de Sizeranne – e che questa è essenzialmente dovuta a una disproporzione geometrica dovuta alle ombre attorno alle labbra e alla loro percezione da parte della nostra retina. Quando guardiamo il ritratto dritto negli occhi, il suo sorriso sparisce ma quando ci si focalizza altrove, entra nella visione periferica della retina e il sorriso appare, sfumato e ampio: dunque quel sorriso appare più evidente nella visione periferica che non in quella centrale.

Questo è un sottile dettaglio che conferisce alla Gioconda un che di enigmatico e di misterioso. Nel mio libro accenno che questo è in qualche modo descritto da Agnolo Firenzuola in un suo celebre trattato sulla bellezza delle donne del 1541.

Dato che Leonardo dipinse quel ritratto prima che il suo libro fosse scritto, come possiamo spiegare questa curiosa coincidenza?

L’unica spiegazione possibile, a mio giudizio, è che il giovane Firenzuola vide la Gioconda prima che venisse portata in Francia da Leonardo. Forse nel 1515 o nel 1516 quando Leonardo Da Vinci arrivò in Lombardia da Roma, fermandosi a Bologna e Parma, incontrando Re Francesco I di Francia che gli chiese di entrare al suo servizio ad Amboise.

 

 

Agnolo Firenzuola – Dialogo delle bellezze delle donne intitolato Celso

DEL DIALOGO DEL FIRENZUOLA FIORENTINO, DELLA BELLEZA DELLE DONNE, INTITOLATO CELSO. DISCORSO PRIMO.

CELSO.

Eccoci alla bocca, fontana di tutte le amorose dolceze, la quale disidera più tosto pendere nel picciolo che nel grande; né deve esser aguza, né piatta; e nello aprirla, massime quando si apre senza riso o senza parola, non averia a mostrar più che cinque denti, insino in sei, di quei di sopra. Non sien le labbra molto sottili né anche soverchio grosse, ma in guisa che il vermiglio loro apparisca sopra lo incarnato che le circonda; e voglion nel serrar della bocca congiungersi pari, che quel di sopra non avanzi quel di sotto, né quel di sotto quel di sopra; e voglion fare verso il lor fine una certa diminuzione diminuita in angulo ottuso: come è questo; ma non come lo acuto o come il mento. Egli è ben vero che, quando il labbro di sotto, e massime quando la bocca è aperta, gonfia un poco nel mezo più che quel di sopra, con un certo segno che mostri quasi di dividerlo in due parti, che quel poco di gonfiamento dà gran grazia a tutta la bocca. Tra il labbro di sopra e quel che voi chiamate il mocol del naso, vuole apparire eziandio una certa dimensione, che paia un picciol solco e poco a dentro, seminato di rose incarnate. Il serrar la bocca qualche volta, con un dolce atto e con una certa grazia, dalla banda dritta e aprirlo dalla manca, quasi ascostamente soghignando, o mordersi talora il labbro di sotto non affettatamente, ma quasi per inavertenza, che non paressero attucci o lezi, rare volte, rimessamente, dolcemente, con un poco di modesta lascivia, con un certo muover d’occhi, che or riguardino fissamente e allora allora rimirino in terra, è una cosa graziosa, un atto che apre anzi spalanca il paradiso delle delizie e allaga d’una incomprensibile dolceza il core di chi lo mira disiosamente. Ma tutta questo sarebbe poco, se la belleza dei Denti non concorresse coll’essere piccioli, ma non minuti, quadri, uguali, con bello ordine separati, candidi e allo avorio simili sopra tutto, e dalle gingive, che più tosto paiano orli di raso chermisino che di velluto rosso, orlati, legati e rincalzati;

 

Agnolo Firenzuola nacque a Firenze il 28 sett. 1493, primo dei cinque figli del notaio Bastiano Giovannini da Firenzuola e di Lucrezia Braccesi, figlia dell’umanista Alessandro, che Bastiano servì come segretario personale.
Alessandro Braccesi fu intimo di Giuliano e Lorenzo de’ Medici e conobbe anche la la bella Ginevra de’ Benci, il cui fratello era amico di Leonardo.

Alessandro Braccesi iniziò la professione di notaio nel 1467 e fu impiegato nella cancelleria della Repubblica e della Signoria fiorentina, per la quale svolse varie attività diplomatiche. Nel 1470-1471 fu a Napoli e poi a Roma con gli ambasciatori Jacopo Guicciardini e Pierfrancesco de’ Medici.
Verso il 1473 compose una serie di poesie in volgare, dedicate al signore di Montefeltro. Si trattava di un Canzoniere d’ispirazione petrarchesca. In seguito tradusse anche le Storie di Appiano in volgare.Nel 1479 fu secondo cancelliere della Signoria e nel 1480 cancelliere dei Dieci di Balia e poi notaio e scriba degli Otto di Pratica.
Del 1483 al 1487 fu uno dei sei segretari della Repubblica, mentre nel 1488 diresse insieme con Francesco Gaddi la cancelleria degli Otto di Pratica.
Dal 1491 al 1494 fu ambasciatore a Siena, svolgendo una missione delicata in una terra tradizionalmente nemica di Firenze. Alla caduta dei Medici fu subito richiamato a Firenze e rimosso dall’incarico di segretario, che gli fu restituito già alla fine dell’anno e riprese così le sue missioni diplomatiche. La più importante fu svolta a Roma nel 1497.
Durante la sua missione, il papa scomunicò il Savonarola mentre il Braccesi, un ammiratore del Savonarola, lo informava segretamente dello stato delle trattative, oltre ad adoperarsi cautamente presso qualche cardinale sulla possibilità della convocazione di un concilio che affrontasse il problema della deposizione del Borgia e della riforma della Chiesa, come auspicato da fra’ Girolamo. La svolta anti-savonaroliana a Firenze nel 1498 e che portò in maggio alla condanna del frate, provocò anche la caduta in disgrazia del Braccesi. Dopo qualche anno d’isolamento, dovette ottenere la fiducia dei nuovi signori di Firenze: alla fine del 1502 fu infatti inviato in missione a Roma, ma vi si ammalò e morì il 7 luglio 1503.
La sua tomba si trova nella basilica di Santa Prassede, dove è ricordato da un epitaffio dettato da Agnolo Firenzuola.

Agnolo Fiorenzuola fu battezzato con i nomi di Michelangelo e Gerolamo, trascorrendo l’infanzia a Firenze. Sedicenne, intraprese lo studio del diritto a Siena; quindi fu a Perugia, dove completò gli studi nel 1515-16.
Venticinquenne, nel 1518 approdò nella Roma di Leone X con l’incarico di procuratore dell’Ordine presso la Curia. Apparentemente per qualche tempo fu al servizio di Paolo Giordano Orsini e frequentò l’accademia che si riuniva nel palazzo del cardinale Pietro Accolti.
S’innamorò della moglie di un avido notaio, che lui chiama Costanza, di origini fiorentine. Compose dei dialoghi a lei dedicati anche se questa morì prematuramente, la sua opera fu sottoposta al Tolomei, che forse espresse riserve sulla scelta di affidare temi filosofici a interlocutrici femminili, se il Fiorenzuola gli rispose nel 1525 con una Epistola in difesa delle donne. Nei mesi successivi alla presentazione dei Ragionamenti si manifestò la grave infermità di cui parla, nel capitolo In lode del legno santo e nella lettera a Pietro Aretino del 5 ott. 1541, molto probabilmente si trattava di sifilide.
Chiese e ottenere l’8 maggio 1526 la dispensa dai voti monastici, pur rimanendo in seno alla Chiesa come chierico secolare, per rinchiudersi in un doloroso e impenetrabile isolamento.
Nel 1538 fu a Prato, ristabilito nella salute, di nuovo nell’Ordine vallombrosano e in buone condizioni economiche grazie al ricco beneficio della badia di S. Salvatore, a Vaiano nel Pratese, di cui almeno da quest’anno fu Abbas Perpetuus. Nella tranquilla e prospera cittadina toscana, alla cui aria salubre attribuì in numerose rime il suo risanamento, si riaprì alla vita sociale e forse all’amore non solo spirituale, come testimonia la concretezza delle rime per una Selvaggia della famiglia dei Buonamici.

Al felice incontro con le famiglie pratesi è dovuta la riproposta della soluzione dialogica nel Dialogo delle bellezze delle donne intitolato Celso dal nome dell’interlocutore principale.
La bellezza femminile era un soggetto in voga fra i neoplatonici; il Firenzuola accentua il tema della bellezza come armonia delle forme in cui il piacere dei sensi sublima in superiore contemplazione intellettuale. Tuttavia le allusioni velate ma facilmente decrittabili alle donne pratesi utilizzate come modelli per delineare il ritratto della bellezza ideale non mancarono di suscitare pettegolezzi e risentimenti, con il risultato di alienarsi il favore delle famiglie abbienti della città e fu forzato a una nuova solitudine. In difficoltà economiche dovute alla perdita, verso la fine del 1540, del beneficio di Vaiano e al trascinarsi di una controversia con la sorella Alessandra per l’eredità del padre morto nel 1538, condannato all’isolamento a causa dei dissapori subentrati nei rapporti con le famiglie pratesi, il Fiorenzuola si spense a Prato il 27 giugno 1543 in assoluta solitudine. I fratelli appresero della sua morte solo due settimane dopo, come si legge nel rogito, nel quale rinunciarono all’eredità perché ritenuta negativa.

Leonardo’s defacement goes on, this time at Louis Vuitton

It is official, ladies, LV stylists are out of ideas!

The French designers of posh bags made of plastic seek help from Leonardo Da Vinci, as last resort against sagging sales. This suggestion come from Jeff Koons .

A Song Dynasty poet wrote that the three most distressing things he could imagine were:

Youth damaged by poor education; good tea wasted by bad handling and a magnificent painting debased by an ignorant multitude of spectators.

We should add that the defacement of the Mona Lisa is not a novel idea, since it has been already defaced countless times.

 

The reason for it could be found in the wise words of the abstract impressionist painter, Barnett Newman (1905–1970):
Those who put a moustache on the Mona Lisa are not attacking it, or art, but Leonardo Da Vinci the man. What irritates them is that this man with half a dozen pictures has this great name in history, whereas they, with their large oeuvre, are not sure.

Yes, Jeff Koons is not sure of being a artist, not even an artisan and, therefore, is resorting to parody.