L’importanza del fattore C. nella Storia e nel Costume

Esiste una larga parte del nostro corpo, comune ai due sessi, della quale si parla spesso con discrezione misto a imbarazzo, oppure la si usa come invettiva, o termine di paragone, attribuendogli sia significati positivi che negativi. Stiamo parlando del lato B, del sedere…del culo. Questo nome fa la sua comparsa anche nella Divina Commedia della quale tutti parlano quest’anno, ma che pochi hanno letto.

Prima del libro di Samuel Ghelli “Questioni di Culo. Guida Ragionata all’uso di un vecchio tabù nel linguaggio figurato” pubblicato da Gingko di Verona, non esisteva nulla di sistematico nell’uso e abuso di questa parola. Si tratta di una silloge di modi di dire che nella lingua italiana si costruiscono attorno a questa parola. Il numero di espressioni nella lingua corrente è davvero imponente, stiamo parlando infatti di un libro di 253 pagine, diviso in capitoli tematici e ricco di un indici dei nomi e di una bibliografia. Ogni espressione è corredata di varianti regionali e vien discussa la  derivazione, infatti l’autore, Samuel Ghelli, è un giovane docente di lingua e letteratura italiana presso alla City University di New York. Egli, dunque, viene da un paese in cui l’espressione “ass” culo è già stata sdoganata, ma il “range” dell’uso americano è assai misero. Non hanno la fantasia che possediamo noi italiani.

Diamo qui un estratto del solo Capitolo 18, sui 35 totali, dedicato ad “Allegria, felicità, euforia, stravaganza”.

“Aver visto il culo a Caterina”

SIGN:  mostrare insolita euforia; passare da uno stato di apatia ad improvvisa allegria. La locuzione vuole specialmente sottolineare quello stato di inconsueto godimento e inaspettata beatitudine che talvolta si legge nel volto e nei gesti di chi conosciamo invece come carattere cupo e affatto incline a manifestazioni di giubilo (“Hai visto Giovanni oggi? Irriconoscibile, tutto un sorriso. Pare abbia visto il culo a Caterina”). L’espressione è assolutamente d’origine fiorentina. Infatti la ragazza chiamata in causa non è una Caterina qualunque, ma la “duchessina” nata a Firenze da Lorenzo II dei Medici (“il Magnifico Merda” come lo chiamavano i fiorentini per rimarcare la differenza con l’illustre predecessore) che andata in sposa a Enrico d’ Orléans fu poi regina di Francia. All’origine del modo di dire che la ritrae con il culo in bella mostra pare esserci una bizzarra usanza in voga a quei tempi fra personaggi di certo lignaggio: trascorrere la prima notte di nozze alla presenza di qualche autorevole testimone. All’incontro amoroso dei giovani sposi si narra abbia infatti assistito un nutrito numero di cortigiani ed un posto d’onore sia stato addirittura riservato al papa Clemente VII che, per ragioni di stato, voleva assicurarsi che di fatto il matrimonio venisse consumato. I due ragazzi sapevano cosa fare e lo hanno fatto a dovere, consapevoli di offrire un gran bello spettacolo con piena soddisfazione dei guardoni di turno ai quali non poteva che tornare almeno il buonumore.

“Essere fuori come un culo”

SIGN: essere stravaganti; mostrarsi particolarmente su di giri. L’espressione indica una persona dal comportamento piuttosto balzano e può essere impiegata tanto per definire un’effervescenza di spirito che fa parte del bagaglio genetico di un individuo (“Simpatica, ma… è fuori come un culo”), quanto per alludere ad una euforia legata all’uso di droghe e alcol (“L’ho visto ieri sera ed era fuori come un culo”). Oggi è facile reperirla un po’ ovunque in rete e, seppure non trovi menzione nei dizionari ufficiali, è perfino indicata ad uso e consumo degli stranieri che studiano la nostra lingua nell’audace volumetto Hide this Italian book, pubblicato per la prima volta dalla Berlitz nel 2005.  La locuzione, che fa parte esclusivamente del gergo giovanile, è costruita sul modello di formule simili e precedenti quali “essere fuori come una campana”, “….come un balcone”, “…come un cartello” a cui aggiunge solo un pizzico di volgarità. Anche nella circostanza ci troviamo così di fronte ad una semplice e semplicistica rielaborazione di modi di dire preesistenti da parte di certi ragazzi ancora in età scolare che nella parola culo, nonostante il libertinaggio di costumi e di ben altro linguaggio a cui sono avvezzi (non di tutti, per carità!), dimostrano di trovare ancora una fonte preziosa di trasgressione. E la cosa un po’ sorprende.

“La camicia non gli tocca il culo”

SIGN: essere così euforici da perdere il controllo. Il detto ha davvero origini lontane e gloriose. Merita pertanto di essere ricordato anche se forse ultimamente è un po’ caduto in disuso. Lo registrano già Boccaccio (Giorn. IV, Nov. 2) e il Sacchetti (Nov. 123), e a partire dalla terza edizione lo accoglie persino il Vocabolario della Crusca fra le sue espressioni da consegnare alla storia.  Ma da dove nasce l’associazione fra il proverbiale indissolubile binomio culo-camicia e l’idea del ridicolo? La cronaca del tempo e la memoria di antichi costumi ci aiutano a comprendere chiaramente la logica che sottintende all’accostamento indicato e quindi a svelare il significato figurato dell’espressione. Bisogna ricordare infatti che almeno fino a tutto il Cinquecento era uso comune portare abbondanti camicioni a diretto contatto con le nudità del sedere e che di conseguenza poteva accadere che movimenti scomposti del corpo finissero per scoprire proprio ciò che l’indumento avrebbe invece dovuto celare. A stare alla testimonianza dei celebri autori sopra nominati, un’esuberante, incontrollata e quindi biasimevole allegria era all’origine di questa imbarazzante esperienza in cui a nudo erano messe le rotondità delle natiche e alla berlina il loro titolare. In fondo esiste un altro detto in italiano, forse meno autorevole (il Lippi non è il Boccaccio) ma sicuramente più esplicito per i nostri orecchi, a conferma dell’associazione fra un eccesso di giubilo e un disordine nell’assetto: “non stare più nei propri panni dalla gioia” (Malmantile).

“Pisciare dal culo”

SIGN: farsela addosso dalle risate

La locuzione è linguisticamente interessante e in parte sorprendente. A prima vista sembrerebbe infatti riprodurre nel significato le espressioni scatologiche che qualificano un improvviso spavento, identificando naturalmente con la piscia non altro che la merda liquefatta. Eppure, come ci dice David Jaccod che si è occupato del linguaggio delle chat, l’espressione non è costruita per analogia su formule simili che associano il culo e la cacca alla paura, ma su tutt’altro modo di dire che chiama in causa direttamente l’urina in quanto tale per alludere al buon umore e alla risata, vale a dire “pisciarsi addosso dal ridere”. In questo modo, secondo Jaccod, gli autori della rete dimostrano di non accontentarsi delle frasi fatte ma, di fronte a espressioni consunte di cui si è oramai smarrito l’originale valore interdetto (nessuno infatti si scompone più a dire o sentir dire “farsela sotto dalle risate”), compiono uno sforzo attivo per ottenere qualcosa di nuovo che possa ancora colpire e divertire. Il culo in questo caso è quindi messo in gioco per dare nuova forma ad un significato preesistente. Che poi lo si sorprenda anche specializzato nella minzione a dire il vero non stupisce molto visto che lo sappiamo multifunzionale e capace di ben più difficili ed articolate mansioni.

“Ridere il culo”

SIGN: godere delle disgrazie altrui

Necessario innanzi tutto chiarire la costruzione: il culo è qui soggetto posposto al verbo, quindi è lui direttamente, non altri, a sghignazzare delle sventure del prossimo. Siamo di fronte all’ennesima personificazione del nostro posteriore che si fa protagonista della scena riducendo il suo portatore, colui al quale il culo ride (“Mi ride il culo che Giovanni non possa andare in vacanza”), a semplice appendice.  C’è di più! In questo caso il nostro sedere dimostra non semplicemente di essere corpo, ma anche di avere un’anima. Il riso infatti non è provocato da una sensazione fisica, ma da un’emozione pura. La spontanea e improvvisa allegria che contrae i muscoli in una smorfia di piacere e fa emettere suoni vivaci e soddisfatti è frutto di un godimento tutto platonico che penetra lo spirito e non la carne. Che poi il culo si bei dell’infelicità altrui è cosa poco nobile ed anche piuttosto grezza, ma anche questo rientra nella sua fenomenale natura.

“Toccare il culo con un dito”

SIGN: essere al massimo della felicità

La presente locuzione è suggerita la prima volta da Alberto Arbasino in Fratelli d’Italia (1963) dove una banda di compagnoni si diverte ad elencare una serie di frasi contenenti la parola “cielo” immaginando mentalmente di sostituirla con culo. Il gioco sarebbe forse finito lì se lo scrittore non ci avesse preso gusto, riproponendo qualche anno più tardi in Super Eliogabalo (1969) più o meno lo stesso divertissement, ma in maniera più scoperta: “Bella la vita in tempi interessanti!… Quando grande è la confusione sotto il culo… Il culo stellato sopra di te!… Culo e mar… Culi bigi… Culi a pecorelle… Apriti cui!… La manna dal cui!… A noi si schiude il cu?… Ma per l’amor del culo!… Son cose che non stanno né in culo né in terra… Anche se vi pare toccare il culo con un dito!” Qui si chiude la lista, in un crescendo che dalla bassa cagnara innalza il culo fino a renderlo oggetto sommo del desiderio umano, come il cielo appunto, con tutte le sue intangibili bellezze che sanno regalarci impareggiabili felicità.

Il lodevole intento dell’autore, che ha compiuto una encomiabile ricerca, durata anni, è certamente di tipo accademico, ma proprio per questo motivo è difficile non piegarsi in due dalle risa, a causa di certe definizioni, che ci riportano ai bei tempi delle nostre scuole medie, quando venivamo colti dalla ferale e infettiva ridarella, che faceva imbestialire i nostri cari professori.

 

Angelo Paratico

 

Questioni di Culo