La Premessa al mio libro su Leonardo Da Vinci, definito ‘psicotico e figlio di una schiava’

La storia non può essere interpretata esclusivamente analizzando fatti e documenti. Gli storici devono seguire indizi, ricordi e impressioni, poiché talora le prove non esistono, oppure, se esistono, sono distorte e confuse. Quando si studiano la vita e le opere di Leonardo Da Vinci questo problema si fa particolarmente acuto, giacché, nonostante tutti gli sforzi compiuti da grandi storici, la sua vita resta un enigma. Forse, nuovi documenti emergeranno in futuro, mettendo alla prova ipotesi oggi ritenute credibili e sicure, ma allo stato attuale delle cose si può affermare che conosciamo più dettagli biografici di tanti artisti rinascimentali, tutto sommato minori, che non del grande Leonardo. Sappiamo che Leonardo Da Vinci nacque il 15 aprile 1452, a Vinci, in Toscana, da genitori non legati da vincolo matrimoniale: la sua fu dunque una nascita accidentale, il risultato d’un furtivo amplesso fra ser Piero d’Antonio Da Vinci (1426- 1504) — un rampante notaio della Repubblica Fiorentina — e una misteriosa Caterina (1427/34-1494). Questa ragazza non poteva sperare di diventare la sua legittima sposa, poiché ser Piero fu un professionista ambizioso, con forti aspirazioni al successo materiale e all’acquisizione di clienti nel competitivo mondo finanziario e mercantile fiorentino. Uno dei requisiti indispensabili per salire la scala sociale era lo sposarsi bene e, per rimediare al faux pas compiuto con una ragazza priva di mezzi, ser Piero agì da sensale nei confronti della sua vittima, dopo il parto, offrendola in sposa a uno dei suoi aiutanti: Antonio di Piero del Vaccha d’Andrea Buti, soprannominato l’Accattabriga: un nomignolo che, ieri come oggi, indica una persona facilmente irritabile e prepotente. Caterina continuò a vivere a Vinci, dopo che vi era stata portata da Firenze per darvi alla luce Leonardo, badando al suo nuovo marito e ai cinque figli che successivamente la coppia mise al mondo. Non si ha ragione di dubitare che Leonardo fu in quotidiano contatto con sua madre, benché alcuni biografi, senza averne le prove, accettano l’immagine romantica di un bambino strappato al seno materno subito dopo lo svezzamento e affidato da ser Piero alla sua legittima moglie, Albiera, impalmata a Firenze. Nulla sappiamo della gioventù di Leonardo: dove la trascorse e con chi, e nulla conosciamo della sua educazione e dei suoi maestri, se mai ne ebbe, poiché egli si definì un omo sanza lettere. Sappiamo soltanto che fu impiegato nella bottega di Andrea di Michele di Francesco Cione, detto il Verrocchio (1435-1488) a Firenze, ma ciò accadde quando Leonardo aveva già diciotto anni — infatti, a diciassette anni, appare ancora in una dichiarazione dei redditi3 presentata da suo padre — e quando il suo enorme talento artistico s’era già manifestato. È dunque ragionevole ipotizzare che Leonardo trascorse la propria gioventù a Vinci, vicino alla madre e al padre adottivo, non distante dalla chiesa di San Pantaleo, alla periferia del paese, a Campo Zeppi, anziché a Firenze, dove suo padre perseguiva la propria carriera legale.

Leonardo, figlio illegittimo di ser Piero e di Caterina, deve aver cercato disperatamente quell’accettazione sociale che gli mancava, dopo aver realizzato che la sua posizione non sarebbe mai stata legalizzata. Il motivo per cui non sarebbe mai stato pienamente integrato nella famiglia dei Da Vinci, a differenza di molti altri illegittimi, deve essere dipeso dallo stato sociale di sua madre, una schiava straniera. Anche fra le classi dominanti l’essere nati illegittimi, in quei tempi, non era un fatto raro o straordinario. Tuttavia, nel caso di Leonardo, si avverte la presenza di qualcosa di peggiore, che può solo essere messo in relazione con lo stato sociale di sua madre. Forse, fu proprio questo che gettò un’ombra oscura su tutta la sua esistenza anche se, sfortunatamente, ne sappiamo assai poco, visto che egli fu un uomo assai riservato, che mai abbassò la guardia nei suoi scritti per rivelare questo suo peccato originale. Meditando sulla figura di Caterina, lo storico Edmondo Solmi (1874-1912) scrisse: “Sembra quasi che la natura, dopo aver prodotto il miracolo, abbia voluto coprire d’un velo impenetrabile il luogo e l’essere umano, che sono stati strumento al miracoloso effetto.” Sigmund Freud fu il primo a proporre un’interpretazione del carattere di Leonardo Da Vinci basata sull’influenza emotiva esercitata da sua madre, presentando la sua intuizione in un libro intitolato Un ricordo d’infanzia di Leonardo Da Vinci. Sin dalla sua pubblicazione, avvenuta nel 1910, il libro di Freud si è dimostrato sorprendentemente corretto su molti punti, una volta che i diversi tasselli dell’enigma leonardesco, come in un puzzle, vanno trovando il proprio posto. Questa geniale operetta di Freud verrà spesso citata nelle pagine seguenti. Dunque, cosa si nasconde dietro la riluttanza di Leonardo nel rivelarci il proprio retaggio familiare? Si ha motivo di pensare che la sua reticenza e la sua cautela siano dovute all’esotica etnia della madre. Questo sarà il leitmotiv del nostro libro, in contrasto con le tante biografie già pubblicate, le quali, pur essendo continuamente riscritte, non tentano affatto di far luce su di lei. La conclusione che si raggiunge è che Caterina, la madre di Leonardo, fu una schiava domestica cinese o tartara: ovvero una donna che, quasi per osmosi, fu in grado di trasmettere al sensibilissimo figlio una piccola parte della propria cultura etnica. Questo, tutto sommato, può essere stato il segreto più oscuro di Leonardo: egli non fu solo il figlio illegittimo di ser Piero, ma fu anche il figlio di una schiava domestica con radici orientali. Per suffragare la nostra ipotesi, taglieremo con il rasoio di Occam il corpus delle opere di Leonardo, compiendo controlli incrociati sugli scarsi riferimenti biografici a nostra disposizione e utilizzando i documenti emersi nel corso degli anni dagli archivi. Caterina dev’essere stata solo una bambina quando fu catturata da cavalieri mongoli e gettata in schiavitù, ma, ciò nonostante, è possibile che alcune ombre del suo paese perduto siano rimaste impresse nella sua mente. I tratti orientali del volto di Caterina non furono ricordati a Vinci perché — contrariamente a quanto si pensa oggi — in quell’epoca in Toscana gli schiavi orientali erano assai comuni, come scrissero gli storici Zanelli, Livi e Cibrario.
Gran parte di essi venivano chiamati tartari un termine generico usato per indicare varie tribù estremo-orientali poste sotto al dominio mongolo, cinesi compresi. George H. Edgell scrisse: “Poiché entrarono a migliaia, essi furono rapidamente assorbiti nella popolazione indigena, ma il ceppo mongolo potrebbe non essere stato raro nelle case e per le strade della Toscana”. Ginevra Datini, l’amatissima figlia del mercante tardomedievale Francesco Datini (1335-1410), nacque da una schiava domestica tartara, chiamata Lucia, che serviva in casa sua. Questa straordinaria scoperta non sarebbe mai avvenuta senza il ritrovamento fortuito, avvenuto nel diciannovesimo secolo, di un vero e proprio tesoro di lettere e di documenti che erano stati nascosti all’interno di una nicchia in un muro di Palazzo Datini, a Prato. 150.000 lettere, 500 registri dei conti, 300 contratti societari, 400 contratti di assicurazione, migliaia di polizze di cambio e di assegni. Tale ritrovamento ha mutato la nostra visione del tardo Medioevo europeo ma, sfortunatamente, non abbiamo ritrovato nulla di lontanamente paragonabile per Leonardo Da Vinci e la sua famiglia. Questo libro presenta una serie di documenti sulle origini di Caterina e sulla possibile influenza emotiva da lei esercitata sul proprio primogenito, offrendo sia prove concrete che deduzioni logiche che spiegano perché Leonardo Da Vinci ci appare più come un letterato cinese della dinastia cinese dei Ming che uno dei vanagloriosi caratteri del nostro Rinascimento, come Michelangelo Buonarroti, Benvenuto Cellini e Pietro Aretino. Verrà esaminato il Leonardo Da Vinci uomo, presentando ciò che potrebbe essere il suo più intimo segreto, ovvero — come Sigmund Freud distintamente sospettò — l’enigma di sua madre, Caterina, e l’influenza pressoché inesistente di un padre come ser Piero, con il quale Leonardo ebbe scarsi contatti e che, alla fine, disprezzò. Leonardo soffriva di disortografia — un disturbo neurologico comune in bambini in età scolare, caratterizzato dall’incapacità di apprendere l’ortografia e che è associabile alla dislessia, spesso causata da problemi emotivi e affettivi. Come ebbe a scrivere un grande pensatore come Lauro Galzigna (1933-2014): Nella comunità umana sono considerati geni gli individui di ingegno superiore, capaci di grandi scoperte ricordate dalla posterità…Vedere ciò che è nascosto ai comuni mortali può essere infatti un premio o una punizione riservata a chi è uscito dalla normalità per addentrarsi, più o meno profondamente, nei sentieri della follia…La pittura in generale è una pratica a cui concorrono perizia artigianale, attività percettiva e capacità di elaborarne i risultati con i contributi della memoria e dell’inconscio. Essa si basa sulla manipolazione di immagini contenenti significati e valori occulti esplicitati secondo un simbolismo e con colori simili o diversi dai colori della natura… In fondo, l’opera di un genio si può considerare speculare al delirio di un folle, in quanto entrambe esprimono una sorta di acting out che origina dal rapporto dei due individui in questione con il mondo. Dunque, il grande Leonardo fu certamente uno psicotico, forse a causa di forti traumi subiti in gioventù e la sua vita fu una costante lotta per trascendere il proprio passato, fu un narcisista dalla personalità divisa che si poneva degli obiettivi intrinsecamente irraggiungibili che alimentarono la sua inestinguibile insoddisfazione. Fu questo che gli consentì di salire sopra a vette mai prima esplorate, ma, una volta giunto alla loro sommità, non vi trova alcun appagamento alle proprie turbe interiori, perché dietro a ogni vetta ne sorge una più alta, che lo costringe a riprendere l’ascesa.

Angelo Paratico

Una visita a Vinci, paese natale di Leonardo Da Vinci

Una visita di mezza giornata, a Vinci, mi ha depresso invece che esaltato. Poca gente in giro, poster sbiaditi di dipinti di Leonardo, attaccati ai muri delle case e dei negozi.

Un Museo vinciano con pochi documenti originali, pochi turisti, una evidente mancanza di una regia generale che raccolga tutti gli eventi, nonostante la buona volontà di alcune persone e la cortesia degli abitanti. Una piazzetta dedicata a Carlo Pedretti con di fronte un Museo vuoto.

Non si rendono conto di avere un giacimento di petrolio sotto ai piedi (petrolio culturale, intendiamo) grazie al quale tutti potrebbero vivere meglio.

I turisti vengono spediti alla sua “Casa Natale”, ad Anchiano, anche se tutti gli esperti sanno che quella casa entrò nella proprietà della famiglia Da Vinci molti anni dopo la sua nascita, dato che abbiamo il documento notarile. Leonardo nacque a Vinci, non ad Anchiano, ma non si sa in quale parte del borgo.

Sappiamo, invece, dove trascorse la sua infanzia, assieme alla madre, Caterina, al patrigno, Antonio Buti detto l’Accattabriga, alle sorellastre e a un fratellastro.

Questo luogo della sua infanzia, ancora assai pittoresco, si trova alla periferia di Vinci ed è prossimo alla chiesa di San Pantaleo, che abbiamo tentato di visitare ma, essendo in rovina da anni, risulta sbarrata.

Perché il comune di Vinci non ha promosso il suo restauro e non l’ha aperta ai turisti? Credo ci voglia poco e con il 500mo anniversario della sua morte, che cade quest’anno, si sarebbero potuti facilmente reperire i necessari fondi.

 

Ho scritto anche sul Corriere della Sera:

 

Leonardo, l’immagine separata dalla realtà

 

 

Leonardo Da Vinci svela l’identità della Gioconda

 

Si sono versati fiumi d’inchiostro per cercare di stabilire chi davvero sia e rappresenti il quadro noto come la Gioconda (o Monna Lisa) massimo tesoro del Louvre di Parigi. Possiamo oggi rivelare la soluzione di questo secolare enigma. E come possiamo essere così certi della nostra tesi? Semplice, ce lo dice lo stesso Leonardo da Vinci, pur essendo morto cinque secoli or sono, il 2 maggio 1519, ad Amboise in Francia.
Il chierico molfettano Antonio de Beatis tenne un diario durante il suo grande tour europeo, iniziato il 9 maggio 1517, in compagnia del proprio superiore, il cardinale Luigi d’Aragona, un bastardo di sangue reale. I due rientrarono a Roma nel gennaio 1518 dopo avere incontrato teste coronate e artisti in mezza Europa. Nel 1873 il diario di De Beatis stava ancora dimenticato su di uno scaffale della biblioteca Vittorio Emanuele di Napoli, dove fu notato da Ludwig von Pastor (1854-1925) il quale, intuendo la sua grande importanza storica, ne pubblicò una prima edizione critica nel 1905, facendo una collazione dei manoscritti originali. In quest’opera troviamo, meraviglia fra le meraviglie, il rapporto dell’incontro dei due pellegrini con Leonardo Da Vinci, ad Amboise.
Era il 10 ottobre 1517 e i due viaggiatori sedettero con Leonardo Da Vinci, dentro al suo studio, e diligentemente il De Beatis annotò le parole pronunciate da Messer Lunardo Vinci fiorentino… pictore in la età nostra eccellent.mo” il quale disse quanto segue al cardinal d’Aragona, circa i tre quadri che vedevano appesi:

“…mostrò a s. Ill.ma tre quatri, uno di certa dona fiorentina facta di naturale ad istanza del quondam ma.co Jiuliano de Medici. L’altro di San Joane Giovanni Bat.ta giouane et uno de la Madona et del Figliolo che stan posti in grembo di S.ta Anna tucti perfettissimi, e ben vero che da lui per esserli uenuta certa paralisi dextra, non se ne può expectare più cosa buona. Ha ben facto un creato Milanese che lavora assai bene, et benché il p.to M. Lunardo non possa colorir con quella dolceza che solea, pur serve ad far disegni et insegnare ad altri. Questo gentil’omo ha composta de notomia tanto particularmente con la demostrazione de la pictura sí de membri come de muscoli, nervi, vene, giunture, d’intestini tanto di corpi de homini come de done, de modo non è mai facta anchora da altra persona. Il che abbiamo visto oculatamente et già lui ne dixe haver facta notomia de più de XXX corpi tra masculi et femine de ogni età. Ha anche composto la natura de l’acque, le diverse machine et altre cose, secondo ha riferito lui, infinità di volumi et tucti in lingua volgare, quali se vengono in luce saranno proficui et molto dilettevoli.”

La donna fiorentina alla quale accenna è certamente il dipinto da noi oggi conosciuto come la Gioconda. E tutti i critici, fin qui, in quel “quondam magnifico Giuliano” hanno visto il suo defunto patrono, Giuliano de’ Medici, Duca di Nemour, ultimo figlio di Lorenzo il Magnifico. Ma costui aveva passato quasi tutta la propria esistenza fuori di Firenze, non conosceva Monna Lisa del Giocondo né altre dame fiorentine. Nessuno prima aveva pensato che quella di Leonardo fosse un’allusione a suo zio, quel Giuliano de’ Medici morto durante la congiura dei Pazzi nel 1478.
Ma come possiamo essere sicuri che quando Leonardo Da Vinci dice al cardinale d’Aragona e ad Antonio De Beatis che il ritratto che stavano ammirando rappresentava una certa donna fiorentina fatta di naturale, “ad istantia del quondam ma.co Iuliano de Medici” stesse alludendo a Giuliano de’ Medici, Duca di Nemours? E se invece stesse alludendo a Giuliano de’ Medici, il fratello di Lorenzo de’ Medici? In tal caso la fiorentinità della dama sarebbe rispettata. Questa interpretazione cambierebbe tutti gli scenari a noi conosciuti, aprendone dei nuovi, ancora inesplorati.
Giuliano morì la domenica del 26 aprile 1478, mentre assisteva alla messa nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, trafitto da diciannove colpi di spada inferti da Franceschino Pazzi e da Bernardo di Bandino Baroncelli? Lisa Gherardini del Giocondo e Pacifica Brandani (un’amante urbinate di Giuliano, Duca di Nemours), non erano ancora nate quando Giuliano moriva e, dunque, chi potrebbe mai essere questa donna o per meglio dire la prima modella per questo quadro?

Giuliano de’ Medici, Duca di Nemours

Esattamente un mese dopo l’assassinio di Giuliano, il 26 maggio 1478, nacque un suo figlio naturale, che il giorno successivo fu battezzato con il nome di Giulio de’ Medici, alla presenza di Antonio da Sangallo, un amico del defunto padre, il quale seguiva le istruzioni di Lorenzo de’ Medici. La madre che lo aveva dato alla luce, a causa di complicazioni rese l’anima al Creatore. Il neonato venne subito accolto in famiglia ed educato insieme ai figli di Lorenzo. Nel 1523 Giulio de’ Medici verrà eletto papa con il nome di Clemente VII e il Machiavelli gli dedicherà le sue Istorie Fiorentine.

Giuliano de’ Medici, dipinto da Sandro Botticelli, fratello di Lorenzo il Magnifico

Chi fu la madre di Giulio, che morì nel darlo alla luce? Si dice sia stata la cortigiana Fioretta Gorini (1453-1478), della quale nulla conosciamo. Può essere che quando Giuliano seppe che la sua amante era in dolce attesa chiese al giovane Leonardo di dipingere il suo ritratto? Oppure fu Lorenzo che gli chiese di dipingerla, subito dopo la morte di entrambi i genitori? Quest’ultima parrebbe essere la versione più probabile, poiché utilizzò uno specchio per seguire le proporzioni del proprio viso, come è stato già dimostrato qualche decennio fa da Lillian Schwartz.
Un ulteriore indizio che c’induce a muovere indietro nel tempo l’origine della Gioconda è che fu dipinta su di una tavola di pioppo, mentre i dipinti successivi alla venuta di Leonardo a Milano furono dipinti su legno di noce. Inoltre, il primo paesaggio datato di Leonardo, uno schizzo datato e firmato del 5 agosto 1473, potrebbe essere stato utilizzato per lo sfondo della Gioconda.
La domanda che ci facciamo ora è la seguente: l’epiteto di Magnifico fu usato solo per Lorenzo de’ Medici e per suo figlio, Giuliano, Duca di Nemours, una volta divenuto signore di Firenze, oppure fu forse usato anche per Giuliano, il fratello di Lorenzo? Certamente fu utilizzato anche per il fratello di Lorenzo, tant’è che possediamo “Le Stanze de Messer Angelo Poliziano” cominciate per la giostra del Magnifico Giuliano di Pietro de’ Medici, un poemetto in ottave, rimasto incompiuto e composto da Angelo Poliziano (1454-1494). Fu pubblicato per la prima volta nel 1484 e poi nel 1498 da Aldo Manuzio.
Dunque, Leonardo Da Vinci si riferiva a Giuliano senior e non a suo nipote, Giuliano, Duca di Nemours, parlando ai due visitatori napoletani. Ne consegue che la Gioconda potrebbe essere stata iniziata venticinque anni prima del 1503/4/5, non durante la sua seconda permanenza a Firenze, come tutti credono seguendo la narrazione del Vasari, che pure mai vide la Gioconda.
Il Louvre potrebbe eseguire un test al carbonio per stabilire una più corretta datazione della tavola di legno su cui si trova la Gioconda. Il margine d’errore per questo genere di test è molto ampio ma, forse, analizzando un piccolo frammento ligneo prelevato dal retro della tavola si potrebbero ottenere risultati, certo approssimati, ma per lo meno indicativi sull’anno della effettiva preparazione della tavola e dei colori aventi una base organica. Potremmo così giungere a tre datazioni: se 1478, avremmo Fioretta Gorini; se 1503, Monna Lisa del Giocondo; se 1513, Pacifica Brandani.
Restiamo comunque convinti che la Gioconda — non importa quale fu la modella o la committenza — venne a rappresentare per Leonardo l’immagine onirica della propria madre, Caterina, la schiava di Vinci, come acutamente intuì Sigmund Freud. Leonardo la dipinse a intermittenza durante tutta la sua esistenza, sino alla fine, per mantenerla viva accanto a sé.

Angelo Paratico

 

Angelo Paratico Leonardo Da Vinci. Lo psicotico figlio d’una schiava Gingko Editore, 2019

Serata Leonardiana alla Libreria il Minotauro, il 18 aprile 2019.

Grande serata leonardiana alla Libreria il Minotauro, in via Cappello, a Verona. Due grandi artisti veronesi, Lucio Erlati e Roberto Merola, del gruppo Martingala, hanno intrattenuto il pubblico con le loro belle canzoni e, durante le pause, l’autore del nostro libro su Leonardo Da Vinci, Angelo Paratico, ha raccontato, in pillole certi aneddoti sul Maestro, demolendo alcune delle storie che si raccontano su di lui.

 

Leonardo è stato, fra l’altro, un ottimo musicista e un cantante, e questo ce lo racconta il Vasari. Del resto è risaputo che chi ha una predisposizione per le scienze esatte, possiede anche una forte predisposizione per le note musicali.

Lucio Erlati aveva ricordato una vecchia canzone interpretata da Ornella Vanoni, che era stata la colonna sonora di una splendida ricostruzione della Vita di Leonardo mandata in onda dalla RAI negli anni Settanta. Il testo di questa canzone è di Leonardo da Vinci, mentre la musica è una composizione moderna, ma la musica e le parole, dolcissime e sognanti,  si sposano armoniosamente, ecco la canzone:

 

La serata presso al Minotauto verrà ripetuta il 9 maggio.

 

Una straordinaria opera d’arte di Leonardo da Vinci, ritrovata e presentata

Sulla copertina del libro di Angelo Paratico “Leonardo Da Vinci. Lo psicotico figlio di una schiava” edito da Gingko Edizioni, Verona, euro 16,  appare una quadrella rappresentante l’Arcangelo Gabriele, ma che potrebbe essere in realtà un autoritratto del giovane Leonardo Da Vinci. L’introduzione  è di Salvatore Giannella, un grande giornalista e scrittore, nonché acutissimo indagatore di misteri e bellezze italiane.

Questo libro di Paratico è una riedizione di un suo testo precedente, uscito prima in inglese, ma con sostanziali aggiunte e correzioni. Tale quadrella (o mattonella che dir si voglia) lascia a bocca aperta tutti coloro che l’ammirano, per via della fortissima carica magnetica che sprigiona, un po’ come con la Gioconda al Louvre o la Ginevra de’ Benci, alla National Gallery di Washington.

Siamo certi che nel 2019, cadendo il cinquecentesimo anniversario della morte del Maestro fiorentino, sentiremo parlare molto di questa magnifica opera – che attualmente si trova nel caveau d’una banca fiorentina – essendo previste mostre ed esibizioni un po’ in tutta Italia, dove verrà mostrata al pubblico.

Ciò che ci pare particolarmente impressionante di quest’opera ritrovata è che ha risposto positivamente a tutti i test scientifici ai quali è stata sottoposta e, inoltre, è addirittura firmata. Un fatto assai raro quando si parla di Leonardo Da Vinci.
Nel libro di Paratico troviamo un capitolo (il Settimo) dedicato interamente alla storia di questo ritrovamento e della sua convalida, effettuata non solo con mezzi scientifici da tre laboratori indipendenti ma anche da un’espertissima grafologa, Ivana Bonfantino, che ha confermato che i minuscoli scarabocchi visibili con una lente d’ingrandimento sulla mattonella sono davvero di Leonardo e che solo un falsario davvero straordinario avrebbe potuto imitarli e, si badi bene, di questa quadrella esiste traccia documentaria già nell’ottocento.

Bonfantino e Solari a Roma

Leonardo produsse molto nella sua breve vita (67 anni), anche se mai completò ciò che doveva finire e questo fatto va messo in relazione con la sua forma mentis: voleva stabilire la propria originalità su tutti gli altri e una volta che questo scopo era stato raggiunto, la sua personalità divisa lo spingeva a dedicarsi ad altro.
Certi aspetti psicotici di Leonardo, erano stati evidenziati in un precedente articolo di Ambrogio Bianchi sul blog di Dino Messina del Corriere della Sera ( http://lanostrastoria.corriere.it/2018/12/04/il-male-oscuro-di-leonardo-da-vnci/ ). Crediamo dunque che Leonardo vi abbia ritratto sé stesso, per via del proprio prorompente narcisismo e anche per comodità, mettendosi uno o due specchi davanti.

Tale quadrella di 20×20 cm, fatta di terracotta, è stata prodotta con un’invetriatura a simil-lustro ed è databile al 1471. Risulta di proprietà della famiglia Fanice da Ravello. Vi troviamo rappresentata la testa dell’Arcangelo Gabriele, con dei tratti decisamente orientali, per via del taglio degli occhi e della posizione degli zigomi, un fatto comune nel primo Leonardo e che si può notare nelle sue prime Madonne e anche nella sua Ginevra de’ Benci (Dama del Lichtenstein).
La quadrella possiede anche un “da Vinci Lionardo 1471”, dipinto mediante un’evidente addizione cromatica, eseguita con un pennello. Leonardo nel 1471 aveva 18/19 anni.
Nel capitolo relativo alle influenze orientali di Leonardo vien presentato un disegno del giovane Leonardo che risulta datato 5 agosto 1473, dunque Leonardo Da Vinci firmava maggiormente le proprie opere rispetto a quanto farà in età matura e questo può forse essere spiegato con un suo forte desiderio d’affermazione della propria personalità, un suo voler mettere nero su bianco che lui era un Da Vinci, anche se il padre non aveva mai legalizzato la sua posizione.

Il test di termoluminescenza condotto sulla quadrella dalla società Arcadia di Milano, ha confermato la datazione. Ulteriori test sono stati condotti dal Centro diagnostico C.S.G. Palladio di Vicenza con un’indagine micro-stratigrafica e un’analisi XRF dei pigmenti, di tipo non invasivo. La Emmebi Diagnosi Artistica di Roma ha condotto esami riflettografici che hanno rivelato certi elementi preparatorii che confermano il fatto che non si tratta d’una volgare imitazione.

È stata inoltre effettuata un’indagine di tipo micro-distruttivo, mediante prelievo di un campione analizzato in sezione micro-stratigrafica per caratterizzare i materiali, in particolare quelli dello strato lucido in superficie, al fine di stabilire se il manufatto rientrasse nella categoria delle maioliche invetriate o se, diversamente, la decorazione fosse il prodotto di stesure pittoriche antiche e di eventuali ridipinture successivamente ricoperte da strati di vernice lucida.
Non sono mancate le polemiche dopo la presentazione del Prof. Solari e della grafologa, Ivana R. Bonfantino, tenutasi a Roma il 21 giugno 2018. Eppure, nessuno ha mai usato dei seri argomenti che possano scientificamente disapprovare quanto è stato proposto.

La quadrella non è in lustro, bensì in una maiolica invetriata dipinta a simil-lustro, una tecnica sviluppata dai maestri toscani per resistere alla concorrenza dei più economici spagnoli. Nel suo trattato della pittura, Leonardo sembra far riferimento a questo procedimento di smaltatura a simil-lustro che serve, secondo lui, a far una pittura “d’eterna vernice…”

La struttura del retro della piastrella è molto simile a quella di una piastrella facente parte di un pannello murale del 1500, esposto nella Pinacoteca civica di Savona, con un motivo geometrico costituito da un riquadro con venticinque tasselli allineati in file di cinque; sul retro di una piastrella del ceramista Antonio Fedeli, eseguita nel 1493 per Isabella d’Este, sono presenti tre cerchi concentrici che non sono stati ottenuti mediante un calco o uno stampo: molto probabilmente un sistema simile fu utilizzato per imprimere i trentasei cerchi cavi sul retro dell’Arcangelo Gabriele e si sono trovati degli schizzi di Leonardo per produrre questo tipo di macchina, capace d’imprimere tali segni sul retro delle piastrelle. Un modellino funzionante di tale macchina è visibile presso il “Museo Leonardo Da Vinci” in Via della Conciliazione 19, a Roma.

Schizzo di Leonardo che rappresenta la macchina per imprimere il retro delle mattonelle.

 

Another fake Leonardo da Vinci? Possibly not…

A small tile bearing the image of the Archangel Gabriel is, according to some art experts in Rome, the oldest surviving work made by Leonardo da Vinci. He did it when he was 17 and it is the only one bearing his signature. Except for a sketch with a view of the Valdinievole on paper, kept at the Uffizi Museum in Florence and drawn when he was 20, there is nothing else signed.

Prof. Ernesto Solari thinks that it a self-portrait of Leonardo and, we have to admit that, its likeliness with the David by Verrocchio are indeed impressive. Leonardo shows here a strong oriental look, with thin eyebrows, low cheeks. These are traits which not necessarily derives from his mother being an Oriental slave – as we have argued – but that was a typical mark of the old Sienese school of painting, which was often used for the representation of  sacred images. This is clearly visible in Giotto and Simone Martini

Solari’s claim was dismissed out of hand by Leonardo’s expert Martin Kemp, who told to the Guardian newspaper: “The chance of its being by Leonardo is less than zero. The silly season for Leonardo never closes.” But Kempt, like the late Carlo Pedretti, is very strong on documents but has little eyes for art. Both of them did several mistakes authenticating works which were then proven false.

The tile was presented encased in a glass at a press conference in Rome by Prof Ernesto Solari, who has written extensively on the Renaissance genius, there was also Ivana Bonfantin, a handwriting expert, who is sure that the small handwriting scratched under the glaze were drawn by Leonardo’s heavenly hand.

There are signatures et inscriptions all over it including a sequence of numbers and Leonardo’s signature back to front in his mirror-writing with a coded message translated as: “I, Leonardo da Vinci, born in 1452, represented myself as the Archangel Gabriel in 1471.”

According to Prof. Solari extensive scientific dating tests, including thermoluminescence (TL), bear out the 15th century date of the tile, which is owned by an aristocratic family in Ravello.

He further adds that the tile was fired in the pottery kiln of Leonardo’s paternal grandparents. This we think unlikely considering that they could not fire pieces of such beauty, but only very basic ones.

Should we conclude that it is a XIX copy? I am afraid we cannot do it. How to explain the positive TL test? Since it shows a firing around the date indicated, then, it should really be a Leonardo da Vinci work. Being a glazed tile it is not possible to use an old tile, then glaze it and have it refired, otherwise the TL test will not respond.

Our conclusioni is that if the TL test is really positive then it can only be a Leonardo Da Vinci.

 

Morto Carlo Pedretti, uno dei massimi esperti di Leonardo Da Vinci

Il 5 gennaio 2018 nella sua casa di Lamporecchio, in provincia di Pistoia, è morto Carlo Pedretti, considerato in tutto il mondo uno dei massimi esperti su Leonardo Da Vinci, al quale ha dedicato la propria esistenza. Avrebbe compiuto 90 anni proprio il 6 gennaio. Pedretti era originario di Bologna e dall’età di 13 anni fu in grado di scrivere a lettere rovesciate, usando la mano sinistra, a imitazione del grande genio toscano. A 16 anni pubblicò il suo primo articolo dedicato a Leonardo e nel 1944, all’età di 23 anni, veniva giudicato un grande esperto.  Non l’ho mai incontrato di persona, ma ho comunicato con lui solo via email, grazie all’amico scrittore Salvatore Giannella, al quale era molto legato.

Lo storico dell’arte inglese, Kenneth Clark, con il quale Pedretti curò l’edizione del fondo di scritti e disegni conservati a Windsor, di proprietà della corona britannica, scrisse di lui: “Pedretti è senza ombra di dubbio il più grande esperto di Leonardo dei nostri tempi”.
Carlo Pedretti fu nominato professore emerito di Storia dell’Arte in studi leonardiani alla University of California, Los Angeles e anche supervisore del fondo Armand Hammer (allora detentore del Codice Hammer, ora Codice Bill Gates). Fu anche un prolifico autore di articoli e di più di 50 libri pubblicati in varie lingue e ha ricevuto svariati riconoscimenti, medaglie, lauree honoris causa, in Italia e all’estero. La lista è troppo lunga per essere riportata qui.

Come ebbe a dire Adolfo Venturi, negli anni ’30: “Autenticare un Leonardo da Vinci è come prendere in mano un ferro rovente” e, come molti altri esperti, pure Pedretti aveva alcune profonde piaghe sulle mani, anche perché quando gli veniva chiesto d’autenticare un dipinto o un disegno di Leonardo si muoveva sempre con baldanzoso entusiasmo ed eccessiva generosità , spesso usando il proprio istinto, invece che la ragione. Quando invece si muoveva fra i documenti antichi era quasi infallibile e possiamo dire che molte delle intuizioni riguardanti Leonardo, oggi comunemente accettate, originano proprio da lui. Il modo stesso in cui vediamo questo grande artista del Rinascimento è stato fortemente influenzato dai suoi studi e dalle sue ricerche.
“La morte di ogni vecchio è come una biblioteca che brucia” dice un vecchio proverbio, ma nel caso di Pedretti questa immaginaria biblioteca è enorme nella sua estensione. Unica nostra consolazione è il pensare che una delle prime persone che ha incontrato quando  è morto – alla termine del cono di luce – è stato proprio Leonardo Da Vinci, che gli avrà svelato gli ultimi suoi segreti.

Walter Isaacson’s Leonardo da Vinci. The Biography.

Walter Isaacson is the CEO of the Aspen Institute. He has been the chairman of the CNN and managing editor of Time Magazine. Furthermore, he has written quite a number of large books, including a biography of Steve Jobs, Einstein, Benjamin Franklin and Kissinger. Mind you, we are dealing here with a man of great importance!

His latest book is a biography of Leonardo da Vinci, aptly titled “The Biography” as to say that is the definitive one? Or the latest one? OK, never mind. I bought it because when dealing with Leonardo’s Salvator Mundi recently sold at Christie’s at a record price, Isaacson had created waves around the world somewhat describing the crystal orb in the hand of the Christ-like figure represented there as being “not-leonardian” since there were no distortions created by the light passing through the perfectly painted ball.  It was a timely observation, which put this book into the spotlight in all magazines and newspapers, at the right time.  Out of curiosity, I ordered his book, which arrived two days ago. On dealing with Caterina, Leonardo’s mother, the author mentioned, in a note, my book – he even seems to have read it or at least having flipped through it – and because of this I am grateful.

Isaacson mentions the finding, published recently by Martin Kemp and Giuseppe Pallanti, about the theory of Caterina being an orphaned girl of Vinci, a theory already discarded in the 70s by Renzo Cianchi. It is unsupported by documents, as historian Elisabetta Ulivi has demonstrated during a presentation she gave in Florence last week (https://beyondthirtynine.com/caterina-di-cambio-was-she-the-mysterious-mother-of-leonardo-da-vinci-elisabetta-ulivis-latest-discovery/).

After going through it I found several wrong details and fantasy creations, which one would expect by a busy man like Isaacson. An example. There is a picture of the town of Vinci, facing the first chapter, in Tuscany, showing the Church of Santa Croce, where the author says Leonardo was baptized. Well it may have been but there is no record of it. Then, he ignores the fact that his mother and stepfather lived near the San Pantaleo Church, about two kilometers from the center of Vinci, which now lays in ruins.

Ruins of the Church of San Pantaleo

I thought: just wrong beginning, but on the facing page there is Chapter I about Leonardo’s childhood in Vinci and Isaacson says that: “Leonardo da Vinci is sometimes incorrectly called ‘da Vinci.’ as if that were his last name rather than a descriptor meaning ‘from Vinci.” That’s wrong. The Da Vinci’s family went back to the XIII century, if he would have seen the light in London, would we be dealing today with Leonardo da Londra?

Finally, getting over small imprecisions, I must admit that this is a well written and well researched book, containing all the recent findings about Leonardo, all included and discussed. It is worth buying and reading it.

 

 

 

 

 

 

 

Like Water in the Bucket by Paolo De Falco

I met Paolo di Falco during an international congress held at the Toronto University, Canada, in April 2016.
The theme of the congress was “Italy and China, Europe and East Asia: Centuries of Dialogue” and prominent in it were the works by Giuseppe Castiglione, the XVIII century Milanese Jesuit painter working in Beijing at the court of emperor Qianlong.

Paolo was presenting a documentary film entitled “Leonardo” based on certain aspects of a immigrant Chinese community in Apulia, while I was presenting my non-fiction book on Leonardo Da Vinci, an investigation into the possibility that Caterina, his mother, may have been a Chinese slave taken into Italy by Venetian merchants.
Our friendship was cemented by that serendipity.
My hypothesis drew ironic smiles from some academics present there but I did repay them saying that if Leonardo Da Vinci had been an academic, we would be not talking about him today.

Paolo and I, for several hours, strolled aimlessly around Toronto’s busy and cold streets, while he was filming the city and the people. We then discussed at length about our hopes and our aims. There I learned that my fellow traveler has an impeccable career record in Theatre, having worked and studied with the likes of L. de Berardinis, P. Stein, C. Bene, C. Quartucci, P. Brook, J. Grotowsky, T. Kantor. Then, after Theatre, he had crossed into the magic world of cinema, collaborating with A. Grimaldi, P. Squitieri, C. Quartucci, P. Avati. B. Corbucci. R. Mazzotta, A.P. Bacalov, Scavetta. Indeed, all big names in their own fields. Then he switched from actor to film director.

In Albania, he had realized “Il Ponte” from a story written by Kafka, then “Stella Loca” in Argentina. Between 2006 e il 2011 he had shot several documentary films in Argentina, Chile e Brazil, some dedicated to Italian emigration. Then “Leonardo”; The Rooster always crow; “Anatomy Lessons”; “Oedipus and Teseus” “Casello 83” the “Appian Way” plus several others.

However, I remember that during our peripatetic tour of Toronto he kept on going back to music, not filming. He said that he had been the band leader of the “Fools” and that, furthermore, he had played with great musicians. Yes, I remember clearly that back then he was very much taken by his upcoming CD, which he told me he had already set in his mind and as soon as back in Italy he would concentrate on finishing and perfecting all his songs and lyrics. He then added that he was going to use English as a mean of expression, the universal language, as Latin had been until the XVII century all over the world.

“Like water in the bucket” is the wonderful result of his inspiration, a title that reminds me the famous verses dedicated to soldiers: “We are, like leaves on the trees, in Autumn” by the poet Giuseppe Ungaretti.
All the musicians playing with him in this CD are well known but, perhaps the saxophonist, Michele Polga, stands out, deserving a special mention, because of the quality of his performance. Listening, as I did several times, to the “Like Water in the Bucket” I had at first the impression that the mainstream flow of his music was to be found in Jazz, but it was just a superficial impression – several hidden streams run below it – and in fact there are also rock and blues intimations but above else there is a classic flavor, perhaps unconscious, which reminds me of Vincenzo Bellini, the Catanese genius…
I can see readers jump in the chair…but I confess that, I myself, found my impression quite puzzling but then, going back to check Paolo’s biography, I found, lo and behold! that Paolo had studied classic music in his youth.

His CD is a great work of art and I do hope that his music will be performed also on National TV, because Paolo deserves more success and more attention. Finally, let me conclude with a slightly hermetic definition. Which kind of emotions and sensations are we getting, while listening to Paolo’s music? You will feel like moving on a long road towards the end of the night.

Angelo Paratico

 

The CD is available here:

http://www.paolodefalco.it/musica/