LEONARDO ERA FIGLIO DI UNA SCHIAVA CINESE?

Leonardo Da Vinci era figlio di una schiava cinese? L’affascinante e documentata tesi di Angelo Paratico.

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In esclusiva per questo blog (http://blog.libero.it/massimocoppa/) il giornalista, scrittore e storico italiano Angelo Paratico, che vive e lavora ad Hong Kong, ha scritto un lungo ma interessantissimo articolo in cui spiega la sua rivoluzionaria ipotesi relativa alla madre di Leonardo Da Vinci, diventata un libro per ora edito in lingua inglese.

 

di Angelo Paratico

Tutto ebbe inizio con un’intervista a Radio3 di Hong Kong, in una popolare trasmissione intitolata Morning Brew.
Parlai di un’idea che mi frullava in testa da tempo e sulla quale stavo raccogliendo documentazione storica: la possibilità che la madre di Leonardo Da Vinci fosse stata una schiava domestica cinese. Poi spiegai che questo risolverebbe il mistero delle immagini orientali tipiche di Leonardo, presenti nei suoi schizzi e nei suoi quadri: per esempio, il paesaggio alle spalle della Gioconda, nuovo in Europa ma comunissimo in Cina. E inoltre il suo vegetarianesimo, il suo amore per gli animali, il suo interesse per tutto ciò che era orientale e il suo disinteresse per il nuovo continente americano.
Il mio intervento provocò molto interesse fra il pubblico e per questo venni contattato da una reporter del principale quotidiano di Hong Kong in lingua inglese, il “South China Morning Post”, che mi chiese un’intervista. Incontrai al Circolo della Stampa una giovane e graziosa giornalista, Raquel Carvalho, che mi intervistò cogliendo solo un cinquanta per cento di quanto le dicevo… L’articolo uscì una settimana dopo e provocò una tempesta mediatica, venendo ripreso da tutti i maggiori quotidiani del mondo. Fui chiamato dalla BBC, dalla CNN, fui intervistato dalla televisione russa Rossya e da una società parigina che stava preparando un documentario sulla Gioconda. Il culmine dell’isteria lo si raggiunse il 3 dicembre 2014 dove, in Cina, articoli contenenti la mia storia furono i più visitati: 5 milioni di lettori e 120.000 commenti!
Incoraggiato da vari amici, fra cui Massimo Coppa, mi buttai a capofitto a riordinare gli appunti e preparare un libro, che uscì nel marzo 2015 in lingua inglese. La casa editrice locale Lascar Publishing mi diede carta bianca, fondi illimitati e condizioni molto generose.
Il titolo del libro è: “Leonardo Da Vinci. A Chinese Scholar Lost in Renaissance Italy”. Ne inviai una copia – tramite l’amico scrittore e giornalista Salvatore Giannella – al massimo studioso di Leonardo Da Vinci del mondo, Carlo Pedretti, il quale giudicò il mio libro molto benignamente, offrendosi di scrivere l’introduzione alla prossima edizione italiana.
Vediamo ora di spiegare brevemente i punti che espongo nel mio volume. Come già detto sopra, ipotizzo che la madre del genio toscano sia stata una schiava cinese.“E come è mai possibile?”, i lettori si chiederanno, poiché nei libri di storia sta scritto che non esistevano cinesi in Italia in quegli anni e che, seguendo la storiografia ufficiale, i primi orientali giunsero in Italia verso la fine del XVI secolo, inviati dai missionari gesuiti stabilitisi a Macao, come Alessandro Valignano, Matteo Ricci e Martino Martini.
Questa è l’opinione largamente condivisa, poiché molti ignorano un vergognoso fenomeno: la schiavitù domestica – dimenticanza tanto comune da far pensare che si possa parlare di una vera e propria rimozione – e che fu una piaga assai diffusa.
Un convegno internazionale dedicato proprio a questo tema è stato tenuto a Prato nel 2014, organizzato dalla Fondazione Francesco Datini, con l’intervento di storici provenienti da vari paesi europei. Gli atti di tale congresso sono stati poi pubblicati in due volumi, sotto il titolo di “Schiavitù e servaggio nell’economia Europea. Secc. XI – XVIII”.
Tale genere di ricerche archivistiche – sulle schiave rinascimentali – fu assai in auge a partire dalla seconda metà dell’Ottocento: basti citare il nome di un grande storico, economista e uomo politico, Luigi Cibrario (1802-1870), che fu autore di svariati libri, tutti caratterizzati da un grande rigore, fra i quali, nel 1868, un “Della Schiavitù e del Servaggio” nel quale Cibrario presenta le proprie scoperte d’archivio relative ad acquisti di schiave, con relativi processi e torture causate dalla loro ribellione e, in certi casi, dal loro affrancamento, normalmente concesso dal padrone in articulo mortis, forse per mondarsi l’anima prima di comparire davanti a San Pietro… Da tali studi si evince che la Chiesa cattolica non si oppose mai al fenomeno della schiavitù, come già notò Melchiorre Gioia. Basti citare Sant’Agostino, il quale scrisse che uno diventa schiavo per via dei propri peccati. Inoltre gli archivi notarili mostrano che molti preti e vescovi possedettero schiavi, che dapprima erano degli infedeli, ma che a distanza di due mesi dall’acquisto andavano battezzati: dunque tutti gli schiavi in Italia erano cattolici! Schiavi maschili venivano utilizzati come ciurma sulle navi, e anche la Santa Sede ne fece uso sui propri vascelli sino al XVII secolo.
La parte di tale fenomeno che ci interessa maggiormente, per studiare le origini di Leonardo Da Vinci, è quella della schiavitù domestica, che si sviluppò nell’area del Mediterraneo dopo il devastante passaggio della peste nera nel 1347, flagello proveniente dall’Asia e che poi si diffuse in tutta Europa provocando, nel giro di un paio d’anni, la morte di circa il 60% della popolazione. Quello fu un evento epocale che provocò sconvolgimenti socio-economici di cui ancora oggi stiamo subendo gli effetti. Finì a quel punto la civiltà feudale e sparirono i servi della gleba. Si ebbero grandi sollevamenti di lavoratori, come quello dei Ciompi a Firenze e poi in Inghilterra – considerate la più grande rivolta popolare prima della Rivoluzione Francese – dove andarono vicini a rovesciare la monarchia. Iniziò così l’epoca d’oro per i salariati; i poveri alzarono la testa; si sviluppò la scienza meccanica per sopperire alla mancanza di manodopera e le donne pretesero un salario come per gli uomini. Le città vennero spopolate dal morbo e nessuno più lavorava la terra: fu allora che genovesi e veneziani presero a importare delle schiave tartare, ossia mongole e cinesi, acquistandole in Crimea. La Crimea era parte dell’impero creato dai discendenti di Gengis Khan e a Tana, l’odierna Azov, genovesi e veneziani stabilirono le proprie basi più estreme.
Anche la famiglia veneziana dei Polo vi aprì ciò che oggi chiameremmo ‘un ufficio commerciale.’ Tana era anche uno dei termini della “Via della Seta”, che portava sino alla Cina e lo stesso Marco Polo – lo si evince dal suo testamento conservato a Venezia –, tornando a Venezia, affrancò uno schiavo tartaro chiamato Pietro.
Sino ai primi decenni del XV secolo le schiave importate dalla Crimea (per il 90 %) erano dell’Estremo Oriente e solo in parte greche, russe e arabe.
La confusione fra tartare e cinesi è spiegabile con il fatto che la Cina, a quel tempo, era occupata dai mongoli e tale rimase sino al 1368. La dinastia Yuan era in effetti mongola, non cinese. Fin quando i cinesi non riuscirono a espellere i mongoli e a stabilire la dinastia Ming, etnicamente cinese, con l’imperatore Hongwu come loro primo monarca, essi venivano classificati come mongoli, non facendo distinzione fra le due etnie.
Anche se detronizzati nel 1368, i mongoli mantennero sotto il proprio dominio una buona parte del paese che oggi chiamiamo Cina. Prova ne sia il fatto che nel 1405 un discendente di Gengis Khan, Tamerlano, che aveva stabilito la propria capitale a Samarcanda, morì di peste mentre alla testa del suo formidabile esercito stava marciando su Pechino. Ed è difficile credere che l’esercito cinese dei Ming sarebbe riuscito a fermarlo.
Il traffico di schiave da Tana sino a Genova e Venezia – che durò sino alla caduta di Costantinopoli del 1453 – fu assai lucrativo. Queste ragazze costavano dai 20 agli 80 fiorini d’oro a testa e coinvolse migliaia di bambine e ragazze di un’età compresa fra gli 8 e i 20 anni. Si conservano ancora centinaia di atti notarili e di assicurazioni nei quali si trova la loro descrizione fisica con i loro nomi originali, ma in qualche caso soltanto appare la dicitura ‘orta cataiorum’ ossia di origine cinese, proprio per il motivo detto sopra.Gli abusi domestici furono moltissimi: prova ne sia il fatto che leggi severissime furono promulgate per chi ingravidava le schiave altrui ma, d’altro canto, ogni forma di violenza era concessa ai proprietari. Se queste si ribellavano, le pene erano feroci: potevano essere frustate, bastonate in “malo modo” e, nei casi più gravi, si potevano cavare uno o due occhi. Se si ribellavano e si rendevano colpevoli di omicidio del proprio padrone, anche per legittima difesa, con l’assenso di un magistrato le si poteva attanagliare con ferri roventi, facendo seguire uno squartamento sulla pubblica piazza.
Le antiche massaie italiane odiavano queste servette che attraevano le attenzioni dei loro anziani mariti e, non per nulla, Francesco Petrarca le definì “nemici nelle nostre case”.
Cosimo de’ Medici, per esempio, ebbe quattro schiave e una di queste, Maddalena, che lui acquistò a Venezia nel 1427, gli diede un figlio, Carlo de’ Medici, che divenne poi un presbitero e del quale si ricordano la carnagione olivastra e i tratti orientali che tradivano le sue origini.
Il grande studioso della civiltà cinese Joseph Needham (1900-1995), autore della monumentale “Storia della scienza e della civilizzazione in Cina”, pubblicata in 22 tomi nei primi anni Sessanta del Novecento, così commentò questo poco edificante fenomeno: “Olschki ha descritto il poco conosciuto fenomeno del traffico di schiave tartare (mongoli e cinesi) che hanno fornito servi domestici nella case italiane dal XIV al XV secolo. Fra il 1366 e il 1397, ad esempio, non meno di 259 tartari, in maggioranza giovani donne, furono vendute nei mercati degli schiavi di Firenze. L’afflusso sembra sia iniziato nel 1328 quando al servo di Marco Polo, Pietro il tartaro, fu concessa la cittadinanza veneziana, e poi terminò con la caduta di Bisanzio nel 1453. Esiste un’abbondante evidenza che molta commistione razziale avvenne e che ragazze mongole e cinesi hanno apportato un utile patrimonio genetico alla popolazione europea”.
Lo studio degli archivi degli antichi ospedali degli “esposti” in Toscana – allora venivano chiamavano i gettatelli – mostra un gran numero di dati interessanti, che sono stati studiati e interpretati da una studiosa giapponese, Tomoko Takahashi, la quale, in un suo libro del 2003 intitolato “Il Rinascimento dei Trovatelli. Il brefotrofio, la città e le campagne nella Toscana del XV secolo”, prova che in stragrande maggioranza i bambini abbandonati subito dopo la nascita erano figli di schiave, per lo più tartare.
I dati biografici sicuri su Leonardo sono molto pochi. Sappiamo molto di suo padre, Ser Piero Da Vinci, che era notaio e del quale si accenna nelle due edizioni delle Vite del Vasari e poi esiste molto poco. Di sua madre Caterina non abbiamo nulla. E non esiste un ritratto attendibile di Leonardo: forse il più veritiero è quello che ho posto sulla copertina del mio libro, preso dall’“Adorazione dei Magi”, conservata agli Uffizi di Firenze, e che mostra Leonardo a 29 anni. Il ritratto famoso di Torino, che lo rappresenta come un vecchione – non poteva essere più vecchio di 61 anni quando lo realizzò – non è sicuramente un autoritratto, anche se viene spacciato per tale!
Notiamo qui che uno dei ritratti biografici più attendibili – precedente al Vasari – è opera del vescovo comasco Paolo Giovio, che l’abbozzò senza completarlo mentre si trovava a Ischia, in fuga dal Sacco di Roma del 1527.
La schiava Caterina, madre di Leonardo Da Vinci, una volta proditoriamente ingravidata da Ser Piero Da Vinci dentro alla casa d’un suo cliente, Ser Vanni, per nascondere lo scandalo fu portata a Vinci, dove i Da Vinci avevano casa. E fu a Vinci che partorì uno degli uomini più misteriosi e geniali mai esistiti. Il suo carattere discreto, ombroso e misterioso non può essere spiegato solo con la sua nascita illegittima e con la sua omosessualità, ma anche con il fatto che era figlio d’una schiava orientale.

 

N.B. Massimo Coppa ha partecipato a una puntata di Voyager nel mese di luglio 2015

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