Totò Riina andava impiccato?

L’aver messo a morte un assassino conclamato e irrecuperabile, come Totò Riina, sarebbe stato un atto di giustizia, non una vendetta. Ma per la comunità cattolica e quella di sinistra, che non sa distinguere fra pietà e giustizia, questo sarebbe stato inaccettabile.
Vediamo di analizzare brevemente da dove arriva questo atteggiamento così diffuso nella nostra società.
Nei paesi cattolici, come l’Italia, sede del papato, esiste una forte simpatia e tolleranza nei confronti dei peccatori, anche coloro che si sono macchiati di crimini enormi e non si sono mai pentiti, ma al contempo esiste poca considerazione per chi è stato vittima di quei crimini, spesso rimettendoci la vita. Un tempo i pochi condannati a morte dalla Santa Inquisizione non potevano essere messi a morte se prima non si erano pentiti, celebre il caso del filosofo napoletano Campanella, che fu torturato per tre mesi per farlo confessare e pentirsi, ma lui negò e rifiutò, fingendosi pazzo.

Viene rilevata anche ben poca simpatia per chi invoca punizioni esemplari: un fenomeno comunissimo nell’Italia dei nostri giorni. I cattolici tendono a coltivare un senso di giustizia proiettato nel futuro, non nel passato, a differenza dei protestanti. Per questo motivo la Chiesa non ha calcato la mano sui preti pedofili, proteggendoli dalla giustizia secolare e accettando il loro puro e semplice pentimento “coram cogregatione” senza far valere la necessità per loro di spostarsi nel passato e cercare di rimediare all’errore commesso, dunque completando il corso della giustizia e accettando una pena adeguata, anche di carcere, come parte del percorso del loro pentimento.

In Italia lodiamo Cesare Beccaria, cattolico, perché sostenne la necessità di abolire la pena di morte, mentre Immanuel Kant, influenzato dal pietismo luterano, era a favore, ma non perché volesse la morte di qualcuno – accusò il Beccaria di essere stato influenzato dal proprio sentimentalismo emotivo – ma per senso di giustizia e per offrire una punizione proporzionata all’enormità del crimine.

Il libro che più ha inciso sulla storia europea è stato sicuramente la Bibbia. Eppure una netta divisione esiste fra protestanti e cattolici nell’interpretarla, e questo ha avuto una profonda influenza sulla nostra società e sul nostro senso di giustizia, che ha di riflesso influenzato i codici delle nostre leggi.
La principale differenza fra cattolici e protestanti consiste nella considerazione che questi ultimi hanno per la Bibbia. Per un protestante la Bibbia è la parola di Dio nella sua assolutezza, un po’ come per i musulmani il Corano. Questo fatto lo si nota anche nella architettura interna delle chiese protestanti, dove il pulpito è una sorta di ampio leggio sul quale il sacro testo viene posato. Quello è il centro d’attenzione al quale si rivolgono tutti i fedeli e da quel pulpito il prete legge la parola di Dio a beneficio dei fedeli che la interpretano, l’accettano o la rifiutano. Ogni fedele deve decidere in propria coscienza cosa sia giusto e sbagliato, eliminando tutti gli intermediari e gli interpreti, riconosciuti dai cattolici nel papa e nei cardinali.
Per i cattolici le decisioni del papa e dei cardinali hanno un peso superiore a quello della Bibbia. Infatti, per molti punti la dottrina cattolica si discosta dagli insegnamenti biblici, una forbice che si è divaricata a partire dal 300 d. C. con Costantino e che si è poi sempre più aperta, grazie a una lunga serie di dogmi papali.

 

Angelo Paratico