Owens vs Hitler

1936 Le Olimpiadi di Hitler

l giochi olimpici del 1936 restano fra i più controversi di tutta la storia olimpica, eppure oggi se ne parla, soprattutto, per ricordare la mancata stretta di mano fra Adolf Hitler e James C. Owens, conosciuto come Jesse Owens.

Spesso si ricorda quell’episodio indicando anche che Hitler lasciò lo stadio in anticipo proprio per non volere stringere la mano a un vincitore di colore. E di medaglie d’oro Owens ne vinse ben quattro, dunque per quattro volte Hitler abbandonò il podio in anticipo?

Eppure, questa pare essere una fake news, dato che vi furono vari testimoni oculari che sostennero che la stretta di mano ci fu. Non si capisce, dunque, perché questa erronea narrazione debba persistere, come se non bastassero ben altri episodi della vita di Hitler per condannarne la memoria. Dunque che bisogno c’è di aggiungere delle bugie alla sua storia, non basta forse la verità?

Hitler strinse la mano e sorrise a Owens. Pare addirittura che gli diede una propria fotografia con dedica autografa, secondo il giornalista sportivo Siegfried Mischner, il quale disse in televisione: “La foto fra Hitler e Owens venne scattata dietro alle quinte del podio d’onore e quindi non fu diffusa dalla stampa ufficiale. Ma io ho visto Hitler stringere la mano a Owens.”

Owens disse sempre la verità ma non venne creduto e a un certo punto ritenne prudente starsene zitto. Per verificare i fatti basta prendersi la briga di andare a leggere i giornali americani della fine del 1936. Owens affermò d’essere stato trattato meglio in Germania che negli Stati Uniti, dove i neri restavano sottoposti a segregazione e dove vigevano leggi razziali che, ironia della sorte, furono usate dai nazisti come falsariga per attuare le proprie politiche razziali contro agli ebrei (James Q. Whitman, “Hitler’s American model. The United States and the making of Nazi Race Law”, Princeton University Press, 2017). Ricordiamo che i neri ebbero pieni diritti di voto negli Stati Uniti solo nel 1965.

Anche l’asso della marina britannica e pilota collaudatore, Eric Melrose “Winkle” Brown  (1919-2016), affermò in televisione che vide quella stretta di mano, e il video con questa sua affermazione è visibile su YouTube. Basta digitare il suo nome e controllare questo documentario in cui mostra il suo album di foto personali, incluse quelle della sua partecipazione alle Olimpiadi di Berlino.

Jesse Owens nacque il 12 settembre 1913 a Oakville, in Alabama, ma poco tempo dopo la sua famiglia emigrò nell’Ohio, portandosi dietro i loro nove bambini. Morì nel 1980, all’età di 66 anni e, come avvenne spesso durante la sua vita, anche l’occasione della sua morte fu sfruttata dalle principali reti televisive e dai media del mondo per divulgare le vecchie inesattezze che avevano sempre raccontato. In realtà, Owens fu acclamato dai berlinesi, con lo stesso entusiasmo riservato agli atleti tedeschi. Lui stesso disse che, in un’occasione, mentre era allo stadio, arrivò Hitler: “Quando passai davanti al Cancelliere, egli s’alzò, facendo un cenno di saluto nei miei confronti e io gli restituii il saluto.”

Il presidente Roosevelt, invece, si rifiutò d’incontrarlo una volta rientrato in patria e dunque mai gli strinse la mano. Solo nel 1955 il presidente Dwight D. Eisenhower riconobbe tardivamente i suoi successi, nominandolo “Ambasciatore dello Sport”.

Adolf Hitler fu razzista nei confronti degli ebrei ma non nutriva animosità nei confronti di gialli, neri, latini  e arabi salve le solite prevenzioni condivise in tutta Europa. Un biografo americano di Owens scrisse: “Tutti gli spettatori tedeschi hanno risposto con calore al giovane Owens …Né la pioggia, né il freddo, hanno fatto calare la folla sotto ai 100.000 spettatori durante le finali pomeridiane. L’hanno guardato e applaudito a ogni sua mossa. Non abituati a vedere degli atleti neri, sono stati rapidamente conquistati dal suo atletismo dominante e dal suo atteggiamento amichevole. Nel Villaggio Olimpico, allo stadio e per le strade di Berlino, hanno chiesto a gran voce di toccarlo, di avere il suo autografo, di scattargli una foto”.

Owens disse: “Dopo essere tornato a casa con le mie quattro medaglie dalle Olimpiadi del 1936 mi parve sempre più evidente che tutti mi avrebbero dato delle grandi pacche sulle spalle, e avrebbero voluto stringermi la mano o farmi salire nella loro suite. Ma nessuno mi avrebbe mai offerto un lavoro.”

Nonostante il suo grande successo a Berlino, egli ebbe una vita assai difficile. Fu espulso dalla American Amateur Athletics Union perché aveva utilizzato la sua fama a livello mondiale per un piccolo profitto personale, prima d’una tournée all’estero. Alla fine, si ridusse a diventare una sorta d’attore da circo per sostenere la propria famiglia, misurandosi con un’auto, una moto, con cani e cavalli. Svolse lavori come bidello e benzinaio e osservò amaramente: “Non si possono mangiare le mie quattro medaglie d’oro”.

Franklin D. Roosevelt non si congratulò mai con Owens, né lo invitò [e nessun altro atleta afroamericano] alla Casa Bianca dopo le Olimpiadi di Berlino. Per questo Owens disse che: “Hitler non mi ha snobbato – è stato FDR che mi ha snobbato!”.

Un dettaglio che dimostra la mancanza di sentimenti razzisti nei confronti dei neri lo si può notare dal magnifico episodio dell’amicizia fra Luz Long e Jesse Owens. Furono i consigli di Long che fecero vincere l’oro a Owens nel salto in lungo e condannarono lui all’argento. Immaginate tutti gli insulti che gli avrebbero rivolto i tedeschi per averlo fatto vincere, se avessero odiato i neri, eppure la sportività di Long fu lodata, non criticata, perché questo fatto venne visto come un gesto di grande cavalleria.

I due restarono amici e si scambiarono lettere, fin quando Long mori il 14 luglio 1943 a Niscemi, in Sicilia, in circostanze mai chiarite (qualcuno disse che fu baionettato nel suo letto d’ospedale) combattendo contro agli Alleati nella Piana di Gela. Luz Long riposa ancora lì, in un sacrario mantenuto a spese della Germania.