L’AVVENTURA D’UN ITALIANO A PECHINO, IN MONGOLIA E A MACAO

 

 

 

Una recensione al mio libro “UNA FEROCE COMPASSIONE”  scritta da  Ambrogio Bianchi e pubblicata sul Corriere della Sera.

 

Il genocidio dei mongoli è poco conosciuto, eppure centinaia di migliaia d’innocenti vennero trucidati dai bolscevichi russi, affiancati dai loro complici mongoli. Ciò avvenne a partire dalla morte della massima autorità religiosa e politica del Paese, il Bogd Khan, conosciuto come il Budda Vivente, avvenuta il 17 aprile 1924. L’ultimo libro di Angelo Paratico, intitolato “Una Feroce Compassione” e pubblicato dall’editore Gingko di Verona ripercorre quegli avvenimenti, intrecciandoli con la vicenda di un ufficiale italiano che partecipò alla nostra spedizione armata, a Pechino, del 1900, stabilendosi poi a Macao e a Hong Kong.

La narrazione inizia con l’intervento del Barone Pazzo, l’austriaco Roman von Ungern-Sternberg (1886-1921) che, a capo di un piccolo esercito personale, composto essenzialmente da russi bianchi e di altre nazionalità, il 4 febbraio 1921 occupò Urga, la capitale della Mongolia, massacrandovi la guarnigione cinese. Nativo di Graz, in Austria, Unger-Sternberg condivideva alcuni tratti del suo carattere con il suo più celebre connazionale, Adolf Hitler. Credeva di essere la reincarnazione di Jamsaran, il dio tibetano della guerra. Per eliminarlo, alcune unità dell’esercito sovietico invasero la Mongolia e presero Urga il 6 luglio 1921. Il Barone Pazzo tentò di ritirarsi in Tibet, ma fu catturato e poi fucilato, il 15 settembre 1921. Fu grazie al principio della eterogenesi dei fini, ovvero grazie all’intervento del Barone Pazzo e della successiva invasione sovietica per eliminarlo, che la Mongolia oggi non fa parte della Repubblica Popolare Cinese. Questa resta una grossa perdita territoriale per la Cina, considerando che ha una superficie cinque volte maggiore dell’Italia e una popolazione di soli tre milioni e trecentomila abitanti, con un sottosuolo ricchissimo di minerali.

Il Bogd Khan era nato in Tibet, e fin dall’infanzia era stato riconosciuto come una reincarnazione dei suoi predecessori e posto sul trono della Mongolia nel 1911, quando i mongoli conquistarono l’indipendenza dalla Cina. Dopo che il Barone Pazzo venne fucilato, i bolscevichi accordarono solenni garanzie d’indipendenza alla Mongolia, promettendo di rispettare gli accordi che avevano sottoscritto a Kiakhta, ma quasi subito cominciarono a frapporre ostacoli tra il Budda vivente e i suoi sudditi. Dopo essersi sbarazzati del Bogd Khan, che forse avvelenarono, i bolscevichi diedero inizio al genocidio mongolo, radendo al suolo più di cinquecento monasteri, bruciando antiche biblioteche dedicate allo studio del pensiero buddista, fucilando migliaia di lama, distruggendo preziose opere d’arte sacra. Fu in quell’occasione che il vessillo spirituale di Gengis Khan, noto come Khara Sulde – un tridente d’acciaio, con degli anelli d’argento che portavano intrecciata la criniera nera del suo cavallo da guerra – scomparve per sempre dal monastero di Shankh a Ovorkhangai Aimag, nella Mongolia occidentale. Gli antichi mongoli, prima di abbracciare il buddismo tibetano, erano degli animisti e credevano che in quel tridente risiedesse l’anima di Gengis Khan e che il suo possesso garantisse il controllo del mondo intero. Anche Heinrich Himmler cercò di entrane in possesso, seguendo le indicazioni ricevute da Sven Hedin, il famoso esploratore svedese e ammiratore di Hitler e del nazismo. Questa è una leggenda che ricorda quella che circonda la lancia di Longino, conservata a Vienna e che fu sottratta da Hitler durante l’Anschluss del 1938.

I sovietici temevano la rinascita dello spirito d’indipendenza mongolo e portarono a compimento delle feroci purghe, anche di quei mongoli comunisti che non credevano abbastanza zelanti nel voler fare tabula rasa del passato e delle tradizioni. Solo quelle del 1937 portarono alla morte circa trentamila persone. La Mongolia si trasformò in uno stato che ricorda il libro “1984” di Orwell, o l’occupazione della Cambogia da parte dei Khmer Rossi, raggiungendo livelli di psicosi mai visti in precedenza. Basti come esempio ciò che accadde nel 1962, a Tomor-ochir, vicepresidente del Consiglio dei ministri mongolo, che incautamente approvò l’emissione di una serie di francobolli per commemorare gli ottocento anni dalla nascita di Gengis Khan e la costruzione di un piccolo monumento a lui dedicato. Questo causò una sanguinosa epurazione di accademici  e storici che avevano appoggiato quel piano. Lo stesso Primo ministro fu improvvisamente destituito e mandato a lavorare in una fabbrica, come accadde a Dubcek in Cecoslovacchia. Un giorno lo trovarono morto, con la testa spaccata da un colpo d’ascia, ma i suoi assassini non vennero mai trovati.

Dopo l’invasione giapponese della Manciuria nel 1931, anche il Giappone mise gli occhi sulla Mongolia, invadendola nel 1939, ma vennero pesantemente battuti. Si dice che  anche loro avessero formato un plotone di storici in divisa, incaricati di trovare il famoso tridente d’acciaio di Gengis Khan e poi portarlo a Tokyo.

 

Ambrogio Bianchi

 

 

 

 

“The Dew of Heaven” Pubblicato in Arizona. Bollettino AISE

HONG KONG\ aise\ – Angelo Paratico, residente a Hong Kong da 35 anni, dopo la sua atipica biografia dedicata a Caterina, la misteriosa madre di Leonardo Da Vinci, (appena pubblicata in italiano dalla Gingko Editore di Bologna) ha pubblicato un libro in lingua inglese presso la casa editrice Cactus Moon, di Tempe, in Arizona.

S’intitola “The Dew Of Heaven” e si tratta di un romanzo con una forte base storica, incentrato sulla presenza italiana in Cina a partire dal 1892.

L’Italia umbertina giocò un notevole ruolo in Cina, soprattutto a partire dall’invio di nostre truppe a Pechino, nel luglio 1900, per liberare le legazioni diplomatiche assediate dai Boxer. Il nostro ambasciatore, il marchese Giuseppe Salvago Raggi, fu uno dei protagonisti della resistenza a quei folli che volevano massacrare tutti gli stranieri ma, a differenza dei suoi colleghi, il nostro non se ne vantò e, infatti, il suo diario fu pubblicato solo nel 1968.

Giuseppe Salvago Raggi restò assediato per 55 giorni, assieme alla moglie, Camilla e al figlioletto Paris, convinti di dover presto morire sgozzati. La Cina ci dichiarò guerra dopo che inviammo, con altre sette nazioni, una flottiglia di sei navi, guidate dall’Ammiraglio Camillo Candiani d’Olivola e tremilaseicento soldati, perlopiù bersaglieri. Si distinsero tutti, nonostante il loro equipaggiamento non fosse adeguato all’impresa.

Il protagonista del libro è un ufficiale di Enna, in Sicilia, che prima partecipò alla battaglia di Adua e poi s’offrì volontario per la spedizione in Cina, seguendo il colonello Tommaso Salsa. Questo tenente, all’interno della Cina, incontrò la donna della sua vita, una principessa mongola e anche per questo motivo decise – una volta congedatosi dall’esercito, nel 1902 – di stabilirsi nell’ex colonia portoghese di Macao e nella vicina Hong Kong, impiantandovi un’attività industriale. Prima di morire, nei primi anni sessanta, decise di scrivere un diario della propria avventura, contenente certi dettagli che avevano e hanno tuttora delle implicazioni geopolitiche importanti, relative a un oggetto perduto, che secondo alcuni avrebbe proprietà quasi-magiche.

Dalla fine della seconda guerra mondiale è calato l’oblio sulla presenza italiana in Cina e questo ha costretto l’autore a lunghe ricerche storiche per ricostruire i fatti.

Per esempio, per gettar luce sul processo del tenente Vito Modugno, un collega del protagonista del libro, che dopo aver partecipato all’impresa cinese, tornato a casa, venne accusato di aver ammazzato la moglie, inscenando un suicidio, poco se ne parla oggi, eppure quello fu il primo grande processo mediatico della storia italiana.

Sulla copertina appare un fantasma fra i grattacieli di Hong Kong. Si tratta del napoletano Eugenio Zanoni Volpicelli, che fu console a Hong Kong e Macao dal 1899 al 1919. Parlava una dozzina di lingue, fra le quali il russo, vari dialetti cinesi, il coreano e il giapponese. Pubblicò libri di storia e di politica che sono ancora attuali, a Londra, Parigi e Shanghai. In Italia è sconosciuto e la sua tomba si trova a Nagasaki, in Giappone. (aise)

Bollettino AISE del 09/06/2017

http://www.aise.it/anno/the-dew-of-heaven-esce-in-arizona-il-libro-di-angelo-paratico/89765/1

Vito Modugno in The Dew of Heaven. A criminal cold case.

 

vitomodugno

One of the main characters in my book The Dew of Heaven is Lieutenant Vito Modugno, an Italian officer born in Bitonto (Ba) in 1870, who then graduated from the Turin Military Academy and was then sent to Africa, surviving the  battle of Adowa in 1896.
Vito then volunteered to depart for China with the Italian contingent sent to free the Diplomatic Legations fighting the Boxers. Some Italian sailors already present in China had fought alongside the soldiers of other nations but the Italian warships, delayed at Singapore, anchored at Taku, close to Tianjin, on the day of the liberation of the Legations by a multinational contingent lead by the British General Gesalee.

Adm. Camillo Candiani Commander of the Italian Contingent to Bejing in 1900.
Adm. Camillo Candiani d’Olivola – Commander of the Italian Contingent sent to Beijing in 1900.

 

Modugno was demobilized and sent back to Italy at the end of 1901. He did his way back with several crates of Chinese antiques and silk fabrics which he then sold with a large profit. Shortly before his departure, in March 1900, he had married Cenzina di Cagno, who in the meantime had delivered a daughter, Maria. While he was away she was diagnosed with syphilis, a disease which at that time was incurable.
After Vito’s return, one morning, his wife shot herself using his revolver and leaving a farewell letter under the cushion of her bed. In the letter she was writing  of her remorse about something she had done in the past.

Vito was arrested a few days later on suspicion of having organized her murder. The trial was staged two years later in Perugia and was a nationwide case, splitting Italian public opinion in half. Socialists saw in Vito Modugno a warmonger, a violent imperialist and a wife-killer. The conservative side saw in him a war hero, a decorated empire builder, a true gentleman. Even Luigi Barzini of Corriere della Sera was called  to court as a witness, having met Vito in Beijing. His case was debated in Parliament.

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Vito Modugno was finally acquitted by the accusation of having staged the suicide of his wife and, after his release, he disappeared from history. But was he guilty or innocent? And  what happened to him afterward? Some people said that he had returned to China but the mystery had never been solved, until the publication of my book.

 

 

 

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