Le memorie di Edvige Mussolini

Edvige Mussolini (1888-1952) ha un posto prominente nel libro di Cristina Petit e di Albert Szego “A casa di Donna Mussolini”, pubblicato da Solferino nel 2023. Un libro bellissimo e commovente, che sta vendendo bene in Italia, come merita. Vi si racconta l’ospitalità offerta da Edvige a una famiglia di ebrei, gli Szego. Il terzo inquilino in quella abitazione era una sezione delle SS germaniche. Edvige mai salì quei pochi scalini e mai li denunciò. Suo fratello, Benito, informato dai servizi segreti fascisti, sapeva che li stava proteggendo e le disse: “La purità della razza in questo popolo sul quale sono passate tante invasioni e che ha assorbito tante genti dai quattro punti cardinali, non ha senso…So che tu e altre persone della tua famiglia aiutate gli ebrei, e non me ne dispiace, e penso che così potrete constatare l’assoluta labilità delle nostre leggi razziali”. Nella parte finale del libro “A casa di Donna Mussolini” leggiamo che, finita la guerra, gli Szego lessero il libro di memorie di Edvige, uscito postumo, con il titolo “Mio fratello, Benito”. E seppero del suo grande strazio materno: “Il 28 aprile 1945, giorno della morte di Benito Mussolini, veniva assassinato dai partigiani, a Rovetta, in comune di Bergamo, il mio diletto figliuolo Pino, appena ventenne, e a Padova, nello stesso giorno, sempre dai partigiani, il marito della mia prima figliuola, Pier Giovanni Ricci Crisolini”.
Dal 1957 non era più stato ristampato e ci ha pensato la Gingko Edizioni di Verona, a rimetterlo in circolazione. Vi si trovano molte informazioni relative alla famiglia Mussolini e sulle attività di socialista di primo piano del loro padre, Alessandro, che ai suoi bambini sul far della sera, invece che fiabe, leggeva pagine del “Capitale” di Karl Marx, di Nietzsche e di Sorel, e pronosticava per il suo primogenito un futuro da Primo ministro. Ecco come Edvige ci descrive il padre: “Alessandro Mussolini, nostro padre, non era certo un ideologo e nemmeno quello che si dice un uomo colto. Ebbe però cervello e passione e fu un autentico ‘proletario’, non tanto per le sue condizioni economiche che andarono soggette ad alti e bassi, quanto per il suo atteggiamento verso la società e lo Stato di allora in Italia. Contro l’una e contro l’altro egli lottò infatti, per così dire, senza esclusione di colpi, perché si sentiva proletario in Italia con la stessa mescolanza di profondo orgoglio e di esasperata ribellione con cui suo figlio, dopo aver capeggiato l’ala rivoluzionaria del partito socialista, si sentì, più tardi, italiano nel mondo. Questi furono, secondo me, i ‘valori primi’ trasmessi dal padre al figlio: il quale sapeva molto bene da dove gli venivano il suo tono perentorio e deciso e il suo impeto. Quando scrive di suo padre e dei socialisti di allora, gli ‘internazionalisti’, considerati come delinquenti ‘da segregare’, che usavano riunirsi nella casa di Alessandro Mussolini per uno scambio di idee, di affetti e di dolori, egli ha gli accenti commossi di chi torna in contatto con le proprie origini”.
Dopo la scomparsa di Arnaldo Mussolini, il 21 dicembre 1931: “In un pomeriggio di cruda e fitta nebbia, tornando egli, in Milano, dalla stazione alla sua casa (mi aveva accompagnata al treno; io avevo trascorso alcune settimane ospite sua e ora tornavo in Romagna) la morte lo abbatté” e, dunque, come racconta Edvige, del “vecchio ceppo” rimasero solo lei e Benito e per questo motivo il loro rapporto divenne strettissimo. Edvige non crede che Matteotti fu fatto uccidere dal fratello e questo punto lo accettò anche colui che fu da principio il suo più coraggioso accusatore: il giornalista Carlo Silvestri. Non crede neppure nella veracità dei “Diari” di Galeazzo Ciano, perché sostiene di apparire in un colloquio che ebbero e che lei dichiara senz’altro inventato. Si tratta di una nota che figura al 13 aprile 1942, dove Ciano parla di un lungo colloquio con Edvige. Dice che lei gli parlò della storia con Clara Petacci e di possedere prove che la sua famiglia stesse approfittando di questa relazione, sollevando molto scandalo. Edvige promette di affrontare suo fratello. Un altro colloquio, fra di loro, datato al 29 ottobre 1942, nel quale Edvige si dice preoccupata per la situazione interna e vedrebbe bene un incarico di Ciano come ministro degli Interni, che lui però non gradisce. Ecco, questo sarebbe tutto falso, secondo Edvige.
Alla fine del libro si discute del ritrovamento dei diari di Benito Mussolini, a Vercelli, negli anni Cinquanta. Erano dei falsi, e furono proprio quelli che poi trarranno in inganno anche Marcello Dell’Utri, che ne promosse la stampa. I veri diari esistevano ed erano stati per anni in custodia a casa di Edvige. Purtroppo, andarono perduti, come molte delle lettere che i due fratelli scambiarono, durante il trambusto dell’aprile 1945. “Mio fratello Benito” di Edvige Mussolini è un libro che andava ristampato, perché mostra l’altra faccia del duce del fascismo, quella familiare e umana. Sua sorella, Edvige, mostra di aver capito le ragioni profonde di alcune decisioni, altrimenti inspiegabili, da lui prese.

Ambrogio Bianchi

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