Roma ha perso EXPO 2030, per fortuna!

 

Expo Hannover nel 2013

Vorrei offrire una piccola consolazione ai romani e al sindaco Gualtieri per la perdita di Expo 2030, rivisitando un mio vecchio articolo, uscito su un quotidiano romano, nel dicembre 2007, nel quale criticavo l’assegnazione di Expo 2015 a Milano, titolandolo: “Milano copi Londra, non Shanghai”.

Prevedevo, già nel 2007, che l’Expo si sarebbe rivelato un insuccesso, sia in termini di visitatori che in termini d’affari e d’immagine.

Iniziavo lamentando il fatto che il sindaco di Milano, Letizia Moratti, non avesse voluto incontrare il Dalai Lama in visita a Milano, perché temeva l’ostilità cinese nell’assegnazione dell’Expo a Milano, e poi continuavo, notando che: “Crediamo, però, che le preoccupazioni della Moratti siano eccessive: la Cina non c’entra nulla con l’assegnazione e rispetta chi si fa valere, non chi cede. La decisione di assegnare l’Expo viene presa da un ente intergovernativo basato a Parigi, chiamato Bureau International des Expositions (BIE), il quale è una sorta di fossile, nato nel 1928, che ha la funzione di regolare la cadenza di certe manifestazioni espositive internazionali. L’Italia ne fa parte, pagando ogni anno la propria quota associativa.

A differenza di quanto accade per i giochi olimpici o per i mondiali di calcio, il nome World Expo non è brevettato e ogni Paese, in teoria, può usarlo. Infatti, nel 1964, gli Stati Uniti organizzarono una propria World Expo, a New York, senza richiedere la benedizione di Parigi. E non solo, a partire dal 2001, dopo che per due anni il Congresso aveva rifiutato di ratificare il pagamento dei contributi annuali alla BIE, il segretario di Stato, Colin Powell, sanzionò l’uscita degli USA da questa organizzazione”. Solo nel 2017 Trump decise di rientrare, ma anche India, Australia e Canada non ne fanno parte.

 

L’edizione del 2000 fu tenuta ad Hannover, in Germania e fu un fiasco clamoroso: arrivò a far notizia soprattutto per il fatto che la municipalità tedesca si ritrovò con un buco da 1 miliardo di dollari: avevano preventivato 40 milioni di spettatori, ma se ne presentarono soltanto 18 milioni. L’edizione del 2005 si svolse ad Aichi, in Giappone, non riuscite a trovarla sul mappamondo? Neppure noi.

Quella del 2008 fu tenuta a Saragozza, in Spagna. L’edizione del 2010, invece, è stata data a Shanghai. E sapete chi furono gli altri illustri concorrenti a quell’ambito traguardo? Yeosu, nella Corea del Sud e Queretaro, in Messico. E, anche qui, comprendiamo tutte le difficoltà del lettore in materia di geografia. Yeosu, non doma, tornò all’assalto aggiudicandosi l’edizione speciale del 2012, battendo sul filo di lana Wroclaw e Tangeri. Ora, noi capiamo i motivi dell’interesse manifestato da Shanghai nell’accaparrarsi questa esibizione, un po’ meno quelli di Roma. Questo genere di manifestazioni sono le tenaglie che usa il partito comunista cinese per rafforzare la propria presa sul potere: servono solo per fini propagandistici. Non a caso, ogni capo di Stato che passava per Shanghai, veniva portato a vedere il progresso dei lavori per l’Expo 2010 e gli venivano promessi contratti per partecipare alla realizzazione degli impianti e per gli sviluppi successivi. Vedendo tutto quel fervore edilizio, alcuni statisti tornavano a casa con l’idea che si trattasse di qualche cosa di molto importante, pur non capendo bene a che servisse. A questa regola non era sfuggito neppure il nostro Romano Prodi quando, nel settembre 2006, aveva visitato i padiglioni che stavano sorgendo lungo il fiume Huangpu e che, una volta completati, avrebbero accolto quei 70 milioni di visitatori che avevano messo in preventivo.  Sappiamo che i milioni per i cinesi non sono assolutamente un problema, ma i soldi che non entrarono in cassa invece lo sono. E, infatti, la fiera di Shanghai accumulò perdite per miliardi di dollari, ma con il 40 percento coperto dal governo e il resto da banche e sponsor privati, gli organizzatori hanno potuto dormire sonni tranquilli.

 

Questi circhi hanno fatto il loro tempo, oggi non servono più a mostrare ciò che un Paese produce, perché per saperlo basta fare una ricerca in internet, oppure ci sono le fiere settoriali. Gli operatori di ciascun settore non ne hanno bisogno, mentre a pochi turisti interessa girare per questi caravanserragli, con un gelato in mano: per questo motivo votano con i propri piedi, disertandole. Questo può spiegare perché il numero dei visitatori è sempre al di sotto delle previsioni degli organizzatori e spiega perché, alla fine, il bilancio va scritto con l’inchiostro rosso e non con quello nero. Uno dei maggiori problemi causati dall’Expo sarà l’utilizzo dei padiglioni a fine fiera, basti vedere cosa è successo a Saragozza e Hannover, dove si osservano dei paesaggi desolanti, dei veri e propri monumenti alla follia dei paesi ricchi che hanno soldi da buttare. Crediamo che Roma non ne abbia bisogno e che dovrebbe, piuttosto, prendere esempio da città come Tokyo, Londra e New York, non da Shanghai e da Yeosu. Il sindaco dovrebbe agevolare una trasformazione di Roma a centro di cultura universale, impegnandosi a far funzionare bene i mezzi di trasporto, le biblioteche, snellire la burocrazia, abbassare le tasse e pagare meglio chi lavora. Roma va sviluppata in senso culturale, artistico e dello stile di vita. Non servono più queste grandi fiere, nate nell’Ottocento per vellicare l’orgoglio nazionalistico del popolo.

 

Angelo Paratico