Adottare Confucio per salvare la nostra civiltà, come suggerì Leibnitz?
Ecco una copertina e un titolo che non passano inosservati. Una foto con una sfilata di cinque presidenti statunitensi al funerale di Richard Nixon, il 27 aprile 1994, e il titolo: “Un manuale per il perfetto statista” edito da Gingko Edizioni di Verona.
Si tratta di una nuova edizione, commentata, del Lun Yu di Confucio (501-476 a.C.), noto anche come “Analecta” e “I dialoghi” e che, per millenni, è stato alla base dell’educazione di statisti, in Cina, Corea, Giappone e Vietnam, ed è stato descritto anche come “il libro più influente nella storia del genere umano” e il “libro moderno per eccellenza” contenente “il più antico ritratto intellettuale e spirituale di un uomo”.
Questo libro fece molta impressione sulle più brillanti menti europee, dopo che fu scoperto e tradotto in latino dai grandi padri gesuiti, missionari in Cina, ed ebbe anche un certo peso sull’evoluzione liberale dei governi europei nel XVIII secolo. Voltaire (1694-1778) dichiarò di essere un confuciano in materia di etica e di politica e Leibniz (1646-1716) arrivò a scrivere della possibilità di invitare missionari confuciani in Europa, per civilizzarla.
Tendiamo a vedere in Confucio una sorta di profeta, mentre egli fu un laico e tenne una scuola per aspiranti leader politici, ai quali passare il frutto del proprio studio, della propria esperienza e della propria sagacia. Pare un libro attuale e, dunque, profetico, ma solo perché esplora l’animo umano e, noi uomini moderni, siamo identici agli uomini di tremila anni fa, condividiamo le stesse passioni, le stesse paure, le stesse aspirazioni.
Il cancelliere tedesco Helmuth Kohl dichiarò che questo fu il suo ‘livre de chevet’ nei giorni drammatici della riunificazione fra Germania Est e Germania Ovest, nel 1990. Da allora è cambiato il mondo, ma questo testo pare essersi evoluto con il mondo.
Uno studioso confuciano ha recentemente dichiarato al New York Times: “Tutta la conoscenza umana è contenuta in questo libro. Se lo si legge con attenzione, non ne serve un altro”. Una affermazione, forse, esagerata, ma, senza dubbio, questo libro va messo fra i dieci più importanti nella storia dell’umanità.
Ogni suo capitolo è composto da una serie di detti, in un ordine che pare coerente, ma è piuttosto casuale. Il testo è chiaramente una silloge di diversi passi che sono stati raccolti dai suoi discepoli. Resta difficile stabilire quali parti del testo riportino davvero le parole di Confucio e quali appartengano invece a leggende cresciute intorno alla sua figura, dopo la sua morte. Eppure, certe frasi “bucano la carta” un po’ come per il “Memoriale di Sant’Elena” di Emmanuel de Las Cases, dove si può intuire quando ci parla Napoleone e quando, invece, lo fa il mediocre autore del libro.
La forma casuale del testo e il mistero sulle sue origini rendono il Lun Yu uno dei testi più emozionanti del mondo. Veniva fatto mandare a memoria ai bambini, pensando che poi, nel corso della loro vita, avrebbero capito il significato profondo di queste parole, forse nel momento del pericolo o nel momento del bisogno. Essenzialmente, il libro è imperniato sulla definizione dell’uomo superiore, chun tzu in cinese, ovvero, lo statista, il ministro, il sindaco, il capo villaggio che opereranno con onestà e dedizione per realizzare il bene comune. Si riferisce a chiunque, uomo o donna, che voglia agire per il bene della sua piccola o grande comunità. Confucio disapprova con forza chi vorrebbe separare moralità da etica, politica da onestà, le leggi dalla giustizia.
Nell’anno 551 prima di Cristo, nello stato di Lu, che occupava una parte dell’odierna provincia cinese dello Shandong, vide la luce uno straordinario bambino, che ancor oggi viene definito il “Saggio delle diecimila generazioni” e che noi chiamiamo Confucio. Il nome Confucio deriva dalla latinizzazione di K’ung fu-tzu o Fuzi, ossia Maestro Kung. I suoi discepoli lo chiamavano Maestro o più familiarmente Chung-ni.
I dati certi concernenti la sua vita sono pochi; gli unici testi attendibili ai fini biografici sono: il Lun Yu; il Menciù, scritto da Meng K’e (372-289 a.C.) e il Tso Chuan, un bollettino storico che narra gli avvenimenti dal 722 al 468 a.C.
Dotato di una intelligenza finissima e di grande capacità introspettiva, a trent’anni era già celebre per la sua sapienza in campo storico e morale, tant’è che nel 518 a.C. Meng Hsi-tzu, capo di una delle tre prominenti famiglie di Lu, sul suo letto di morte, raccomandò ai due figli di studiare alla sua scuola.
Nel 500 a.C. divenne un magistrato e fu poi promosso ministro della Giustizia, ma a causa di intrighi e gelosie, nel 497 a.C. fu costretto a lasciare lo Stato, seguito da alcuni discepoli, alla ricerca di un duca disposto ad affidargli incarichi di responsabilità nel proprio governo. La ricerca risultò vana. Nel 484 a.C. venne richiamato a Lu dal nuovo duca, quando aveva ormai 67 anni, ma fu costretto a dedicarsi all’insegnamento e al riordino di antichi testi, tralasciando la politica attiva. Nel 482 a.C. perse il suo unico figlio maschio e l’anno successivo il suo discepolo più brillante, Yen Yuan. Nel 479 a.C. anche Confucio morì, all’età di settantadue anni, convinto di non avere raggiunto lo scopo della sua esistenza: dare ordine e pace alla società nella quale viveva.
Un dettaglio notevole. Scrisse anche un libro sulla musica, che è andato perduto. E vogliamo qui rimarcare che nessun grande filosofo del passato ha mai attribuito tanta importanza alla musica, mentre egli ne accenna spesso nel libro, definendola uno strumento essenziale per la formazione dell’uomo e per la sua istruzione.
Il Primo Imperatore, Qin Shi Huang (259-210 a.C.) ordinò di bruciare tutti i documenti che si trovavano negli archivi, tranne quelli che lodavano gli imperatori. Tra gli obiettivi principali di questo ordine c’erano tutti i libri confuciani. Per fortuna non riuscì a distruggere tutto quanto era stato scritto in passato e certi testi sopravvissero, nascosti nei muri delle case.
Hollywood road, a Hong Kong, è nota in tutto il mondo per i negozi di antiquariato e dove si sono fatte delle scoperte straordinarie. Una di queste è accaduta pochi anni fa e potrebbe rivoluzionare lo studio dei classici cinesi. Su una bancarella furono ritrovati dei listelli di bambù, con dipinti degli ideogrammi, precedenti alle distruzioni ordinate dal Primo Imperatore. Erano inglobati entro a del fango indurito e provengono dal saccheggio di una tomba di uno storico, vissuto nello Stato di Chu, durante il periodo degli Stati Combattenti, intorno al 300 a.C. Si tratta di circa 2.500 striscioline di bambù, compresi i frammenti, alcuni lunghi fino a 46 centimetri. Didi Kirsten Tatlow, una ricercatrice americana, ha scritto sul New York Times: “I manoscritti che ora si trovano presso l’università di Tsinghua, a Pechino, comprendono la prima copia conosciuta del I Ching, l’antico libro di divinazione; poesie finora sconosciute del Libro dei Canti; alcune frasi di Confucio che non si trovano nelle versioni successive degli Analecta; la versione più antica del Dao De Jing di Laozi, e dei capitoli finora sconosciuti che includono una descrizione di un sistema politico alternativo al governo dinastico, che ha dominato la Cina per migliaia di anni: per esempio l’abdicazione per il bene comune, come miglior mezzo di successione politica. Un sovrano si dovrebbe ritirare dalla carica che occupa e lasciare il potere a una persona meritevole, che in teoria potrebbe essere chiunque. Questa idea dell’abdicazione come mezzo di successione politica era troppo minacciosa per le dinastie successive per poter sopravvivere”.
Davvero sorprendente anche la dedica che apre questo originale libro: “A Giorgia Meloni, nuova Teodolinda”.
Ambrogio Bianchi